L’Agenzia delle entrate non può dettare ulteriori imposizioni rispetto alla legge per circoscrivere il perimetro agevolativo di una disposizione normativa: ne deriva che se il contribuente ha adempiuto correttamente alle prescrizioni di legge, può beneficiare dell’agevolazione poiché i documenti di prassi dell’Agenzia delle entrate non costituiscono fonti del diritto. È questo il principio che emerge dalla sentenza n. 5799/20, pubblicata il 3 marzo dalla sezione tributaria della Cassazione.
Secondo la Suprema corte, infatti, sbaglia il fisco a contestare al contribuente l’indebita fruizione dell’incentivo offerto dalla Tremonti-bis, che dispone la detassazione del reddito d’impresa e di lavoro autonomo reinvestito. E sbaglia soprattutto la Commissione tributaria regionale della Toscana quando avalla il disconoscimento dell’Erario poiché il requisito della «novità» dei beni acquisiti, che comporta per il contribuente il beneficio fiscale della detassazione degli utili reinvestiti, dovrebbe essere definito anche tenendo conto dei criteri dettati dalle circolari dell’Amministrazione finanziaria.
In merito a quest’ultimo punto, la Corte di cassazione è irremovibile: le circolari dell’Agenzia delle entrate non vincolano né i contribuenti né i giudici. Ai fini del beneficio fiscale in esame, infatti, la disciplina normativa è chiara e dispone che «Per investimento si intende la realizzazione nel territorio dello Stato di nuovi impianti, il completamento di opere sospese, l’ampliamento, la riattivazione, l’ammodernamento di impianti esistenti e l’acquisto di beni strumentali nuovi anche mediante contratti di locazione finanziaria».
Pertanto, è escluso che la circolare dell’Amministrazione finanziaria possa apportare ulteriori paletti al concetto di novità dei beni strumentali esposta chiaramente dalla norma.
Massimo D’Amico – Centro Studi CGN