Per evitare un aumento dei licenziamenti durante l’emergenza sanitaria causata dal virus Covid-19, il Decreto 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Decreto Cura Italia, convertito in Legge 24 aprile 2020, n. 27) introduce una norma a tutela dei lavoratori, prevedendo il divieto di licenziare sia con procedure collettive che individuali. Il Decreto Rilancio (Decreto Legge del 19 maggio 2020 n.34) proroga di ulteriori 3 mesi il divieto di licenziamento precedentemente stabilito.
La durata dello “stop ai licenziamenti” risulta quindi di 5 mesi, decorrenti dal 17 marzo fino al 17 agosto 2020 e riguarda tutti i datori di lavoro indipendentemente dal numero dei dipendenti.
Nello specifico, è precluso l’avvio di tutte le procedure di licenziamento collettivo, mentre le procedure di licenziamento collettivo attualmente pendenti, avviate successivamente al 23 febbraio 2020, sono sospese (fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di CCNL o di clausola del contratto d’appalto).
I datori di lavoro, inoltre, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non possono recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo (quindi, ad esempio, per ragioni inerenti l’attività produttiva: non si può quindi licenziare per riduzione di personale per chiusura reparto o per motivi economici, ovvero con motivazioni legate al coronavirus). Inoltre, sono sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso.
Infine, è prevista, all’articolo 46 del Decreto Cura Italia (convertito in Legge 24 aprile 2020, n. 27), la possibilità di revocare i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo effettuati nel periodo dal 23 febbraio al 17 marzo 2020, a condizione che il datore di lavoro contestualmente richieda – per i medesimi lavoratori – il trattamento di cassa integrazione salariale, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.
Restano esclusi dall’ambito del divieto i licenziamenti per giusta causa (che non consentono la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto).
Sono sottratte al divieto di licenziamento alcune specifiche categorie di lavoratori, come i lavoratori assunti in prova, i lavoratori che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia, i lavoratori domestici, gli apprendisti che hanno compiuto il periodo di formazione, considerando che, al termine di detto periodo, il datore di lavoro ha facoltà di recedere dal rapporto (ex art. 42, co. 4, D.lgs. n. 81/2015).
Vi sono, poi, altre due categorie di dipendenti in relazione alle quali il divieto di licenziamento parrebbe escludersi (benché, in merito, vi siano alcune perplessità), ovvero i dirigenti ed i lavoratori che vengono assunti dall’impresa appaltatrice subentrante.
Tra le tipologie di licenziamento che si sottraggono al divieto rientrano invece il licenziamento per motivi disciplinari, il licenziamento per superamento del periodo di comporto, il licenziamento per scarso rendimento, che ha natura disciplinare quando si basi sui risultati del lavoratore comparati con criteri individuabili ed oggettivi (cfr. Cass. 5 dicembre 2018, n. 31487). È, invece, dubbio, se debba o meno considerarsi vietato il licenziamento per inidoneità sopravvenuta alla mansione.
Sotto il profilo sanzionatorio, infine, secondo la dottrina maggioritaria, l’inosservanza del divieto di licenziamento determinerebbe la nullità del recesso per violazione di norme imperative; conseguirà l’obbligo della reintegrazione e della corresponsione al lavoratore di un’indennità pari alla retribuzione decorrente dal licenziamento all’effettiva reintegrazione, oltre alle indennità risarcitorie applicabili alla tipologia di nullità (art. 18 D.P.R. n. 300/1970 o D.lgs. 23/2015)
Infine, l’INPS è intervenuto con il Messaggio del 1° giugno 2020, n. 2261: ferma la questione dei recessi eventualmente intimati, con assoluta tempestività, il 17 e 18 maggio 2020 (in cui era scaduto il blocco di 60 giorni di cui al D.L. n. 18/2020, e non era ancora entrato in vigore il divieto “retroattivo” di 5 mesi di cui al D.L. n. 34/2020), l’Inps, a seguito di parere del Ministero del Lavoro (Nota prot. 26 maggio 2020, n. 5481), ha fornito le proprie indicazioni in materia di tutela NASpI per i licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo, intimati in violazione dell’articolo 46 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, come poi modificato dalle disposizioni citate.
In sostanza, tralasciando il riepilogo delle varie misure, il messaggio precisa che l’art. 46 del Decreto Cura Italia, come modificato e integrato dall’art. 80 del Decreto Rilancio, ha assunto rilievo circa la possibilità di accesso alla NASpI da parte dei lavoratori che hanno cessato involontariamente il rapporto con la causale di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nonostante il divieto posto dal legislatore nella disposizione sopra richiamata.
Francesco Geria – LaborTre Studio Associato