Leggendo la circolare n. 15/E/2020 dell’Agenzia delle Entrate, ci si imbatte nel paragrafo 7, che in pratica esclude dal beneficio in esame le imprese in difficoltà nel nome della “Compatibilità con il Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19”. Si tratta senza dubbio di un’estensione della platea dei soggetti non ammessi al beneficio numericamente rilevante, anche in considerazione dei dati statistici che evidenziano una percentuale di oltre l’8% di imprese che depositano un bilancio con un patrimonio netto negativo (cfr. CERVED su dati 2018). Quali sono le imprese in difficoltà e quali implicazioni ci possono essere rispetto alla fruizione del contributo?
Scorrendo l’art. 25 del D.L. 34/2020 avente per oggetto il contributo a fondo perduto non vi è alcun riferimento alla nozione di impresa in difficoltà. Il primo riferimento lo ritroviamo nel provvedimento di attuazione Protocollo n. 0230439/2020, dove al par. 8.1 viene riportato quanto segue:
“Il contributo a fondo perduto è erogato nel rispetto dei limiti e delle condizioni previsti dalla Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 C(2020) 1863 final “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19”, e successive modifiche.” In buona sostanza, gli orientamenti comunitari stabiliscono l’ammissibilità degli aiuti alle imprese che fronteggiano un’improvvisa carenza o addirittura indisponibilità di liquidità alla condizione di non trovarsi in difficoltà alla data del 31/12/2019. La ratio dovrebbe essere quella di aiutare solo le imprese con maggiori possibilità di tirarsi fuori dalla crisi temporanea di liquidità, lasciando al loro destino le altre imprese con minori chance di uscire dalla crisi. Le implicazioni della nozione di impresa in difficoltà porterebbero allo “strano” risultato di spingere definitivamente fuori dal mercato le imprese in perfetta continuità economica che magari hanno la necessità solo di un nuovo piano industriale.
A questo punto dobbiamo approfondire il concetto di impresa in difficoltà, concetto definito tale in base all’art. 2, punto 18, del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014. In tale nozione rientrano le imprese che si ritrovano in almeno una delle seguenti condizioni:
- nel caso di società a responsabilità limitata (per l’Italia si considerano tali le società per azioni, società in accomandita per azioni e Srl), diverse dalle PMI costituitesi da meno di tre anni, qualora abbia perso più della metà del capitale sociale sottoscritto a causa di perdite cumulate;
- nel caso di società in cui almeno alcuni soci abbiano la responsabilità illimitata per i debiti della società (ovvero snc o sas), diverse dalle PMI costituitesi da meno di tre anni, qualora abbia perso più della metà dei fondi propri;
- qualora l’impresa sia oggetto di procedura concorsuale per insolvenza o soddisfi le condizioni previste per l’apertura nei suoi confronti di una tale procedura su richiesta dei suoi creditori;
- qualora l’impresa abbia ricevuto un aiuto per il salvataggio e non abbia ancora rimborsato il prestito o revocato la garanzia, o abbia ricevuto un aiuto per la ristrutturazione e sia ancora soggetta a un piano di ristrutturazione;
- nel caso di un’impresa diversa da una PMI, qualora, negli ultimi due anni il rapporto debito/patrimonio netto contabile dell’impresa sia stato superiore a 7,5 e il quoziente di copertura degli interessi dell’impresa (EBITDA/interessi) sia stato inferiore a 1,0.
L’applicazione delle definizioni riportate di “impresa in difficoltà” conduce a non riconoscere il contributo alle imprese in una serie di situazioni che appaiono discutibili. Si tratta di imprese in temporanea difficoltà in possesso delle potenzialità per tornare a essere competitive sul mercato, magari con una ristrutturazione aziendale o un nuovo piano industriale.
Infatti, limitandoci ai valori contabili, consideriamo una società a responsabilità limitata con la seguente situazione:
La società in questione sarebbe esclusa dall’aiuto temporaneo, in quanto rientrerebbe nella definizione di impresa in difficoltà secondo gli orientamenti dell’Unione Europea. Si tratta di una sanzione eccessiva, che mal si concilia con la normativa nazionale che tratta il caso applicando l’art. 2482 bis del civile, laddove si prevede la convocazione dell’assemblea (a cura dell’organo amministrativo) per esaminare la situazione con la possibilità di rimandare la riduzione del capitale sociale in sede di approvazione del bilancio d’esercizio previa verifica della perdita in rapporto al patrimonio netto.
Nel caso delle società di persone, la situazione si presenta ancora più complessa per via dei diversi regimi contabili nella disponibilità di tali soggetti giuridici. Per le società di persone in contabilità semplificata, per esempio, non vi è altra soluzione che ricostruire, in via extra contabile, tutto il patrimonio netto al fine di verificare la perdita del capitale proprio oltre i limiti indicati.
Altra valutazione da effettuare riguarda la situazione astratta in cui un’impresa potrebbe subire l’apertura di una procedura concorsuale in un’eventuale istanza da parte dei creditori, ricadendo nella definizione di “impresa in difficoltà.”
L’applicazione della normativa europea in materia di aiuti temporanei prevede un limite massimo di sostegno pari a euro 800.000, da calcolare cumulando tutti gli ricevuti dall’impresa durante l’emergenza sanitaria (quindi oltre ai contributi a fondo perduto anche l’eventuale taglio IRAP e i crediti d’imposta vari).
Un intervento del legislatore sarebbe auspicabile per ridefinire questa disposizione, che finora non ha ancora ricevuto la giusta attenzione.
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN