L’Agenzia delle entrate è intervenuta nuovamente per stabilire il concetto di mera prosecuzione dell’attività precedentemente svolta, nel caso in cui il contribuente si debba avvalere del regime agevolato.
Il c.d. regime forfetario, regime naturale per imprese e liberi professionisti che rientrano nel limite dei ricavi stabiliti non superiori a euro 65.000 e che non ricorrono in una delle cause di esclusione, istituito con la Legge 190/2014, è stato successivamente modificato con la Legge 145/2019.
Tra le cause di esclusione all’accesso vi è quella secondo la quale l’attività esercitata non debba essere mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, con esclusione del periodo di praticantato.
Con la risposta n. 161 dello scorso 29 maggio, l’Agenzia delle entrate interviene nuovamente in merito al concetto di mera prosecuzione di attività precedentemente svolta.
Già nella Circolare n. 10/E/2016, paragrafo 5, l’Agenzia si era espressa precisando che: (…) si rammenta, altresì, che il vincolo che la nuova attività non sia mera prosecuzione di una precedente attività d’impresa, di lavoro dipendente o di lavoro autonomo (salvo l’eccezione prevista per la pratica obbligatoria) persegue, in generale, una finalità antielusiva, poiché mira ad evitare che il beneficio possa essere fruito da soggetti che si limitino a modificare la sola veste giuridica dell’attività esercitata in precedenza o dispongano, scientemente, la mera variazione del codice ATECO sfruttando il cambio di denominazione previsto per il “rinnovo” dell’attività. Restano, peraltro, valide tutte le considerazioni già svolte con riguardo ai precedenti regimi, nel senso che la prosecuzione dell’attività deve essere valutata sotto il profilo sostanziale e non formale. A tal fine, pertanto, è indispensabile valutare se la nuova attività si rivolge alla medesima clientela e necessita delle stesse competenze lavorative. Ciò significa che ci sarà continuità quando il contribuente sceglierà di esercitare la medesima attività, svolta precedentemente come lavoratore dipendente rivolgendosi allo stesso mercato di riferimento. Si ritiene che la prosecuzione rilevi anche quando la cessazione del rapporto di lavoro avvenga per cause indipendenti dalla volontà del dipendente, tenuto conto che la norma in esame non fa riferimento a specifiche agevolazioni per i lavoratori in mobilità. Con precedenti documenti di prassi è stato, altresì, chiarito che la continuità non sussiste quando la nuova attività o il mercato di riferimento sono diversi, ovvero quando la precedente attività abbia il carattere di marginalità economica, ossia il lavoro dipendente o assimilato sia svolto, in base a contratti a tempo determinato o di collaborazione coordinata o a progetto per un periodo di tempo non superiore alla metà del triennio (…).
In sostanza, per “mera prosecuzione” si intende l’esercizio della medesima attività che è stata svolta in precedenza verso il medesimo mercato di riferimento, anche se la cessazione del rapporto di lavoro avviene per cause non relative alla volontà del dipendente.
Ma ciò che più è importante è il concetto che viene ribadito e cioè che la “mera prosecuzione” non sussiste nel momento in cui la nuova attività o il mercato di riferimento sono diversi, ovvero quando l’attività precedentemente svolta abbia avuto carattere di marginalità, ossia il lavoratore dipendente sia stato assunto con contratti di lavoro a tempo determinato o di collaborazione coordinata o a progetto per un periodo non superiore alla metà del triennio precedente.
Rita Martin – Centro Studi CGN