Il contributo a fondo perduto e i frutti dell’albero avvelenato

Il frutto dell’albero avvelenato è una metafora legale utilizzata negli Stati Uniti per descrivere una prova che è stata ottenuta illegalmente. La logica di questa terminologia è che se la fonte (l’albero) della prova o la prova stessa è viziata, allora ogni cosa ottenuta (il frutto) tramite essa è a sua volta viziata (fonte Wikipedia). La traslazione della terminologia in questo articolo sta nella circostanza che, a fronte delle incertezze normative e applicative concernenti il contributo a fondo perduto (l’albero), non dovrebbero seguire sanzioni e penalità laddove si dovesse rendere necessaria la restituzione (il frutto) per il contribuente in buona fede.

Il prossimo 13 agosto scade il termine entro cui occorre trasmettere le istanze di richiesta del contributo a fondo perduto. Si tratta di un istituto giuridico disciplinato dall’art. 25 del Decreto rilancio che prevede un contributo erogato direttamente dall’Agenzia delle Entrate e destinato ai soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica “Covid 19”. I beneficiari sono i soggetti esercenti attività d’impresa, di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA.

A causa dei chiarimenti tardivi pervenuti con la circolare n. 22/E del 21 luglio 2020 non saranno pochi i contribuenti che si vedranno costretti a valutare la propria posizione nonché decidere se restituire o meno il contributo. Si prendano in considerazione, in via esemplificativa, i seguenti casi esposti nella circolare n. 22/E del 21 luglio che riguardano le imprese in liquidazione, i consorzi tra imprese nonché le cd. imprese in difficoltà.

Sebbene la norma di legge nulla dica al riguardo, secondo il documento di prassi dell’Agenzia, alle imprese in liquidazione già 31 gennaio 2020 non è consentito fruire del contributo, in quanto l’attività ordinaria risulta interrotta in ragione di eventi diversi da quelli determinati dall’emergenza epidemiologica COVID-19. Anche i consorzi tra imprese non sono ammessi a fruire del contributo in considerazione della peculiare natura di tali soggetti, che si limitano ad operare il ribaltamento dei costi/proventi percepiti alle imprese che ne fanno parte. Ancora più complessa risulta la fattispecie delle imprese in difficoltà, così come definite ai sensi della normativa europea, che si ritenevano escluse senza alcuna ripresa normativa nel decreto Rilancio bensì per via di un riferimento contenuto nel provvedimento attuativo del contributo a fondo perduto. Si consideri per semplicità una società che ha subito perdite cumulate superiori alla metà del capitale sociale. In questo caso è intervenuta la Comunicazione del 29 giugno 2020 della Commissione europea a modificare alcune condizioni relative alle misure temporanee di aiuti di Stato estendendo di fatto il contributo alle menzionate imprese in difficoltà.

Il caso più semplice da valutare è quello che riguarda la presentazione dell’istanza senza che il contributo a fondo perduto sia stato ancora accreditato da parte delle Entrate: per esempio, è stata presentata la domanda per conto di un’impresa in liquidazione e il relativo contributo non è stato ancora accreditato. La questione si potrebbe risolvere inviando telematicamente la comunicazione di rinuncia al contributo secondo le indicazioni del provvedimento di attuazione (provv. Prot. n. 0230439/2020). La circolare 22/E/2020 ha evidenziato che la presentazione della rinuncia rimuove ogni responsabilità in capo al percettore del contributo anche laddove questi dovesse incassare successivamente alla rinuncia il contributo che dovrà quindi essere restituito senza sanzioni e interessi.

Più complesso il caso quando di mezzo c’è stato l’accredito: per esempio, è stata presentata l’istanza per un consorzio tra imprese prima del chiarimento dell’Agenzia, è arrivato l’accredito, poi è arrivato anche il chiarimento che prevede l’esclusione dal contributo costringendo l’impresa all’istanza di rinuncia. In prima battuta, chi ha percepito un contributo non spettante può regolarizzare la propria posizione restituendo il contributo con gli interessi e versando la sanzione minima ridotta applicando le percentuali del ravvedimento operoso. È anche il caso di considerare di potersi servire della causa di non punibilità di cui all’art.  6, comma 2 del D.lgs. 472/1997 e art. 10 della L. n. 212/2010 con disapplicazione della sanzione per via dell’obiettiva incertezza sulla portata applicativa della norma, posto che i chiarimenti sono pervenuti tardivamente senza che si potesse sospettare di un’interpretazione restrittiva da parte dell’Agenzia.

In alcune circostanze la questione potrebbe diventare addirittura kafkiana. Si consideri un’impresa in difficoltà che presenta l’istanza al contributo; poi si accorge della circolare 15/E/2020 che escludeva dai beneficiari proprio quelle imprese e presenta l’istanza di rinuncia; nonostante la rinuncia, il contributo viene accreditato; nel contempo arriva anche la comunicazione della Commissione europea che estende il beneficio alle imprese in difficoltà. La situazione si presenta di difficile soluzione, perché l’istanza di rinuncia non è revocabile e un’eventuale nuova presentazione dell’istanza verrebbe scartata, in quanto il sistema intercetterebbe una pratica già liquidata con accredito. Per cercare di disinnescare il possibile contenzioso che potrebbe incardinarsi, il tentativo sarebbe quello di inviare una nota all’Agenzia competente per chiarire i passaggi che si sono succeduti cercando di ristabilire la legittimità del contributo concesso.

Resta problematico anche il caso in cui il contributo a fondo perduto sia stato percepito in misura superiore a quello dovuto, in quanto le regole attuative e i chiarimenti ufficiali ammettono solo la rinuncia totale dello stesso senza possibilità di correzione dell’istanza.

I casi delineati intrecciano la presentazione dell’istanza, l’eventuale rinuncia al contributo, il possibile accredito del contributo stesso, le modifiche normative che si sono susseguite, l’inaudita impossibilità di correggere le istanze (anche entro il termine di scadenza del 13 agosto) e, a completare il quadro, i chiarimenti finali che a volte arrivano a cose già fatte, generando un’impressionante incertezza applicativa.

Di fronte al comportamento diligente del contribuente che non è rimasto inerte e ha tentato di correggere l’istanza iniziale, anche inviando una pec a chiarimento, la buona fede si deve combinare con l’auspicio che, laddove vi sia incertezza applicativa, non ci dovranno essere sanzioni.

Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN