Dal 1° gennaio 2021 gli interessi legali sono praticamente azzerati. Con decreto del MEF, pubblicato in data 11 dicembre 2020 in Gazzetta Ufficiale n. 310, la misura degli interessi legali, con effetto dall’inizio dell’anno 2021, passa dallo 0,05% annuo allo 0,01%.
La nuova misura è stata determinata in considerazione del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e del tasso d’inflazione annuo registrato, nel rispetto di quanto previsto all’art. 1284 del codice civile.
Nella determinazione dell’ammontare degli interessi legali il tasso da applicare è quello in vigore nei singoli periodi d’imposta secondo il criterio del pro rata temporis. Nella tabella sottostante si riporta l’evoluzione del tasso di interesse legale dalla sua introduzione fino all’ultima variazione.
Come si evince dal prospetto, il tasso di interesse dello 0,01% annuo è il più basso di sempre: per un debito di 10mila euro, sul quale gli interessi legali, per l’intero anno 2019, erano pari a 80 euro (0,8% di 10mila), dal 1° gennaio 2020 sono passati a euro 5, per l’intero anno 2020, (0,05% di 10mila), e a partire dal 1° gennaio 2021, e salvo variazioni, per tutto l’anno 2021 saranno pari a euro 1, vale a dire un quinto di quanto dovuto per il 2020.
La variazione in diminuzione del tasso di interesse legale determina una serie di conseguenze sul piano fiscale e contributivo. Uno degli aspetti più rilevanti è senz’altro il calcolo delle somme da pagare a seguito del ravvedimento operoso ex art. art. 13 del D.Lgs. 472/1997 dove, accanto alle sanzioni pecuniarie, è necessario versare anche gli interessi legali. Nel 2021, per regolarizzare con ravvedimento gli omessi o tardivi versamenti del 2020, per gli interessi legali si dovranno applicare le due misure dello 0,05% fino al 31 dicembre 2020 e dello 0,01% dal 1° gennaio 2021.
In materia di interessi legali resta inattuata la misura unica per i versamenti e i rimborsi. Infatti, nonostante i vari annunci, si è ancora in attesa di un allineamento per evitare che gli interessi applicati dal fisco su quanto gli è dovuto siano più alti, fino al doppio, di quelli riconosciuti al contribuente in caso di rimborso. Si tratta di un aspetto che segna la disparità di trattamento tra contribuente e fisco: se il contribuente deve ricevere un rimborso, l’interesse riconosciuto dal fisco per il ritardo è di norma il 2% annuo, mentre se il contribuente versa a rate le imposte risultanti dalle dichiarazioni annuali dei redditi, dell’Iva e dell’Irap, gli interessi sono dovuti nella misura dello 0,33% mensile, cioè pari al 4% annui. La disparità doveva essere eliminata da un decreto che si sarebbe dovuto approvare nel mese di gennaio del 2016 per via dell’articolo 13 del D.Lgs. 24 settembre 2015 n. 159, in vigore dal 22 ottobre 2015. La norma prevedeva un apposito decreto che avrebbe dovuto fissare una misura unica di interessi per versamenti, riscossioni e rimborsi di ogni tributo. Quel decreto attuativo non è stato mai emanato, con il conseguente vuoto che ne deriva.
Si segnala anche il decreto fiscale collegato alla manovra per il 2020 (D.L 124/2019, convertito in legge n. 157/2019, articolo 37, commi 1-ter e 1-quater) che aveva stabilito la determinazione del tasso di interesse per i versamenti, le riscossioni e i rimborsi di ogni tributo, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, in misura compresa tra lo 0,1% e il 3%. A distanza di oltre un anno anche di questo decreto attuativo non vi è ancora traccia.
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN