L’attuale crisi economica e finanziaria sta cambiando il modo in cui prendiamo in prestito il denaro e quello in cui lo investiamo. Il social lending sta prendendo sempre più campo, diventando un vero e proprio modello alternativo di investimenti per i privati. Cos’è il social lending e quali sono i riflessi di natura fiscale per chi investe?
Il social lending (detto anche peer-to-peer lending) è la raccolta di denaro tra il pubblico che ha per scopo la costituzione di una provvista fondi da utilizzare per l’erogazione di prestiti a persone fisiche o a micro imprese per il finanziamento di loro progetti.
Il social lending viene erogato e concesso per mezzo di portali e/o piattaforme internet che si occupano di mettere in contatto chi ha bisogno di un prestito con chi ha denaro e vuole investirlo. Le piattaforme di social lending fungono da “intermediari” consentendo di gestire correttamente il merito creditizio al fine di ridurre al minimo il rischio di insolvenza per gli investitori.
Come funziona il social lending? In linea generale, il funzionamento delle varie piattaforme è il seguente (le regole e le condizioni d’uso possono variare da piattaforma a piattaforma):
- chi ha necessità di denaro, inserisce la richiesta di prestito alla piattaforma. Se il richiedente possiede i requisiti di merito creditizio stabiliti dalla piattaforma il prestito viene approvato ed il prestito inserito nel “marketplace”;
- chi vuole investire denaro, invece, si collega alla piattaforma, seleziona i singoli prestiti o decide un rendimento atteso e lascia alla piattaforma il compito di comporre in automatico il proprio portafoglio. Ogni mese l’investitore riceverà il rimborso delle singole quote investite nella piattaforma, comprensive degli interessi maturati.
Dal punto di vista fiscale, la tassazione dei redditi percepiti da persone fisiche a seguito di investimenti effettuati attraverso le piattaforme di social lending è disciplinata dall’articolo 1, commi 43 e 44 della L. 205 del 27 dicembre 2017 (legge di bilancio 2018).
Il comma 43 della L. 205/2017 ha aggiunto tra i redditi di capitale (art. 44, c. 1 del T.U.I.R.) i proventi derivanti da prestiti erogati tramite piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali gestite da società iscritte all’albo degli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
Il comma 44 della L. 205/2017 ha stabilito che tali gestori operano una ritenuta alla fonte a titolo di imposta sui redditi di capitale corrisposti a persone fisiche (con aliquota 26% come previsto dall’articolo 3, c. 1 del D.L. 66/2014).
Condizioni per l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta sui proventi derivanti da investimenti su piattaforme di social lending sono che il finanziatore sia una persona fisica al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa e che il gestore della piattaforma sia un intermediario finanziario iscritto all’albo o un istituto di pagamento autorizzato dalla Banca d’Italia (ai sensi della normativa prevista dal Testo Unico Bancario).
Se l’investimento invece è effettuato tramite un gestore estero (caso abbastanza frequente quando si opera su internet), l’Agenzia delle Entrate con l’interpello 169/2020 ha chiarito che i proventi derivanti dall’investimento effettuato tramite piattaforme di social lending estere (che, non essendo intermediari iscritti all’albo e non autorizzati dalla banca d’Italia, non possono applicare la ritenuta) possono essere considerati redditi di capitale da ricondurre nella categoria degli “interessi e altri proventi da mutui, depositi e conti correnti” da indicare nel quadro RL della dichiarazione dei redditi e soggetti al monitoraggio fiscale (quadro RW).
Ai fini dell’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero), se l’investimento rientra nell’ambito dei prodotti finanziari ed è negoziabile nel mercato dei capitali, è soggetto a imposta nella misura del 2 per mille; se l’investimento non rientra tra i prodotti finanziari, non deve essere assoggettato a imposta.
Come ricorda la recente risoluzione 25 settembre 2020 n. 56/E dell’Agenzia delle Entrate, per prodotti finanziari si intendono quelli cui fa riferimento il Testo Unico della Finanza (decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58) all’articolo 1, ivi compresi i depositi bancari e postali, anche se rappresentati da certificati.
Inoltre, ai fini della definizione dei “prodotti finanziari” utile all’applicazione dell’IVAFE, occorre fare riferimento all’ambito oggettivo di applicazione dell’imposta di bollo di cui all’articolo 13, comma 2 bis e comma 2-ter della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 642/72.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN