L’iter relativo all’adozione internazionale è complicato, ostico, impegnativo sia dal lato umano sia economico. Per quanto concerne quest’ultimo aspetto, il Fisco tende una mano alla coppia adottante concedendo una deduzione, nella misura del 50%, per le spese riguardanti l’espletamento della procedura di adozione di minori stranieri, a prescindere dalla realizzazione positiva della medesima. Gli importi sostenuti, però, devono essere certificati da un Ente autorizzato.
Quali Enti sono autorizzati?
Il sito della Commissione per le Adozioni Internazionali (http://www.commissioneadozioni.it/) è il riferimento da cui prendere avvio in quanto, in esso, sono contenute le indicazioni operative di cui può necessitare la coppia adottante.
Nella home page del sito si trovano due elementi fondamentali: Paesi ed Enti autorizzati.
Nella prima, è possibile rinvenire gli Stati che hanno delle convenzioni in essere con l’Italia per adottare un minore straniero. Risultano esclusi dalla lista Paesi rinomati quali Stati Uniti, Canada, Regno Unito ed un intero continente, l’Oceania.
Un passo fondamentale per la coppia è verificare quali Enti siano accreditati. Essi informano e coadiuvano i genitori per la realizzazione della procedura di adozione relazionandosi con le Istituzioni della nazione prescelta.
Nel sito vi è una apposita sezione dedicata, denominata “Albo degli Enti autorizzati”, nella quale è possibile individuare gli Enti accreditati presso la Commissione per le adozioni, esaminando i Paesi nei quali operano. Nel medesimo settore ci sono i recapiti e le relative sedi, le quali sono diffuse in tutta Italia in modo da agevolare i contatti con i genitori.
Gli Enti autorizzati sono attivi in circa 70 Stati equamente suddivisi tra Africa, America centrale e del sud, Asia e Europa. Non è possibile adottare un minore che non appartenga alle nazioni indicate, tranne nel caso in cui uno dei coniugi sia cittadino straniero di uno degli Stati estromessi e la coppia voglia adottare un minore originario dello stesso.
Le spese deducibili
Sul tema vi è stata una recente apertura da parte dell’Agenzia delle entrate, che vedremo in seguito, dopo aver elencato le spese che possono essere dedotte:
- importi sostenuti per i trasferimenti ed il soggiorno nello Stato straniero selezionato;
- spese per la richiesta di visti;
- costi per l’assistenza del minore e per la legalizzazione e traduzione dei documenti necessari;
- esborsi vari per la procedura d’adozione;
- eventuale quota associativa richiesta dall’Ente.
Riprendendo quanto detto poc’anzi, la Risoluzione 85/E del 2019, contrariamente a quanto affermato dalla Risoluzione 77/E del 2004, ha stabilito la deducibilità delle spese effettuate per le relazioni successive alla conclusione del procedimento d’adozione, i cosiddetti Reports post adozione. Tali Reports devono essere previsti dall’accordo o dalla convenzione con lo Stato estero d’origine del minore.
Alcuni Paesi richiedono, infatti, l’elaborazione di aggiornamenti, rapporti sullo stato di adattamento e d’integrazione del minore con la nuova famiglia e nell’ambiente circostante.
Si ricorda che i relativi pagamenti, ai fini della loro deducibilità, devono essere certificati dall’Ente che si è occupato della procedura d’adozione.
Ripartizione delle spese tra i coniugi
La Circolare 19/E del 2020, riprendendo la risposta 4.2 della Circolare 24/04/2015 n. 17, interviene sul punto stabilendo:
“In merito alla suddivisione della spesa deducibile tra i genitori, qualora nella certificazione rilasciata dall’Ente di adozione sia indicata la quota di spesa sostenuta da ciascun genitore, tale indicazione è da prendere a riferimento per la ripartizione della deduzione tra i genitori; diversamente, se la spesa è stata sostenuta da un solo genitore, in quanto l’altro coniuge è a suo carico, la deduzione spetta esclusivamente al coniuge che ha sopportato la spesa”.
Compito pertanto dei coniugi è di riportare all’Ente autorizzato la corretta ripartizione degli importi sostenuti.
La generosità dell’Italia
Il fenomeno delle adozioni internazionali è in rapido e costante calo, a livello globale, a causa di due principali fattori:
- i tempi di attesa, sia dello Stato adottante che adottivo, per la conclusione dell’iter burocratico;
- la progressiva volontà dei singoli Paesi di utilizzare forme di sostegno territoriale.
L’Italia, tuttavia, resta la seconda nazione al mondo, dopo gli Stati Uniti, per numero di minori adottati. In particolare, le coppie italiane tendono ad accogliere, più di chiunque altro, i bambini con special needs ovverosia coloro che si trovano “in condizioni di particolare necessità poiché hanno subito gravi traumi o che presentano problemi di comportamento e/o con incapacità fisiche o mentali di vario genere” (Linee guida del Permanent Bureau nell’ambito dei lavori della Conferenza de L’Aja). Concludo suggerendo di leggere l’interessante rapporto annuale stilato dalla Commissione per le Adozioni internazionali: http://www.commissioneadozioni.it/media/1732/report_cai_2019_200417.pdf.
Nicolò Turcatel – Centro Studi CGN