Le nuove responsabilità degli amministratori

Il Codice della Crisi d’Impresa ha modificato l’articolo 2086 c.c. (gestione dell’impresa), introducendo un nuovo tipo di obbligo in capo all’organo amministrativo rendendolo civilmente e penalmente responsabile nel caso di mancata ottemperanza.

In ragione di quanto disciplinato dal novellato art. 2086 c.c. l’amministratore deve:

  • gestire l’impresa dotandola di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alle dimensioni e alla natura dell’impresa, al fine di rilevare tempestivamente una eventuale situazione di crisi;
  • attivarsi “senza indugio” per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale attraverso gli strumenti previsti dall’ordinamento per la risoluzione della crisi aziendale.

Va opportunamente osservato che i nuovi obblighi riguardano le imprese in forma societaria: società di persone e società di capitali.

Affinché l’assetto organizzativo e amministrativo-contabile sia adeguato alle dimensioni e alla natura dell’impresa, è necessario che quest’ultima addotti regole e procedure volte a garantire un corretto ed efficiente svolgimento dell’attività sociale.

In altri termini, ogni impresa dovrebbe avere un assetto organizzativo minimo, che, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, potrebbe essere così articolato:

  • identificazione di funzioni, compiti, responsabilità di ogni soggetto che lavora in azienda;
  • procedure operative scritte;
  • efficace flusso di informazioni;
  • programmazione dei risultati;
  • monitoraggio dei rischi a cui è esposta l’attività aziendale;
  • pianificazione economico-finanziaria attraverso budget periodici, bilanci infrannuali ecc.

Gli amministratori sono pertanto obbligati ad un costante monitoraggio degli assetti sopra citati, non soltanto al fine di garantire un adeguato equilibrio economico-finanziario, ma anche per individuare i primi concreti segnali di un’eventuale crisi aziendale.

Tale assunto della disciplina civilistica incide profondamente sia sulla prassi aziendalistica sia sulla mentalità degli amministratori costretti ad un cambio di prospettiva nella gestione dell’impresa.

Prova ne è il fatto che il bilancio d’esercizio non rappresenta più l’unico elemento oggettivo per valutare lo stato di salute di una azienda, non fosse altro perché, trattandosi di un documento redatto a consuntivo, potrebbe illustrare una situazione di crisi già in essere.

Non è affatto casuale che l’art. 2086 c.c. ponga l’accento sulla continuità aziendale intesa come futuro dell’impresa, ed è di fondamentale importanza che gli amministratori abbiano piena consapevolezza dei nuovi obblighi introdotti dal CCII, in modo tale da attivarsi tempestivamente per l’adeguamento degli assetti organizzativi.

Per quanto attiene alla responsabilità degli amministratori, vi è una novità rilevante rappresentata dalla nuova formulazione dell’art. 2476 del c.c. (modificato dall’art. 378 del Codice della Crisi d’Impresa), che espone gli amministratori ad una responsabilità illimitata.

In termini generali, gli amministratori sono tenuti:

  • a illustrare la situazione economico-finanziaria dell’impresa in modo completo, veritiero e trasparente, fornendo ai creditori tutti le informazioni appropriate allo strumento di regolazione della crisi;
  • ad assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida definizione della procedura, evitando di pregiudicare i diritti dei creditori;
  • gestire il patrimonio o l’impresa, durante le procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza nell’interesse prioritario dei crediti.

Com’è noto, un principio informatore del diritto della crisi e dell’insolvenza è rappresentato dalla “par condicio creditorum” in ragione del quale i creditori debbono essere soddisfatti in egual proporzione sul patrimonio del debitore e in modo non deteriore rispetto ai creditori che appartengono alla medesima classe di privilegio. In altri termini, la crisi o l’insolvenza del debitore è un fenomeno collettivo e, di conseguenza, tutti i creditori devono subire le stesse conseguenze.

Il nuovo 6° comma dell’art. 2476 sancisce infatti che “gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”.

Di conseguenza, l’amministratore sarà chiamato a rispondere con il proprio patrimonio nei confronti dei creditori sociali nell’eventualità in cui il patrimonio della società risulti insufficiente a soddisfare le pretese creditorie.

A tal riguardo, l’art. 378 2° comma del CCII ha modificato l’art 2486 del codice civile introducendo i criteri di “quantificazione economica del danno” in caso di accertamento della “responsabilità degli amministratori”.

La nuova formulazione dell’art 2486 3° comma del c.c. prevede un criterio principale di quantificazione del danno ed uno sussidiario.

Il criterio principale si basa sui c.d. “NETTI PATRIMONIALI” dati dalla differenza tra:

  • il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura;
  • il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484 c.c., detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione.

Il criterio sussidiario, invece, applicabile in caso di attivazione di procedura concorsuale e di scritture contabili mancanti o irregolari, prevede che la quantificazione del danno derivi dalla differenza tra attivo e passivo della procedura.

Si noti che le cause di crisi aziendale possono dipendere da molteplici fattori:

  • perdita di un cliente strategico;
  • difficoltà ad incassare i crediti;
  • contenziosi;
  • ecc.

Gli amministratori, attraverso un efficace controllo di gestione, devono avere la capacità di individuare tempestivamente i segnali di crisi e risolverli anche facendo ricorso a misure di ristrutturazione.

Qualora l’amministratore riesca a dimostrare di aver messo in atto tutte le misure finalizzate al superamento della crisi, potrà essere esonerato da responsabilità civili e penali.

Nel caso in cui gli assetti organizzativi non siano adeguati o gli amministratori abbiano ignorato i segnali di crisi, viene attuato un sistema di allerta basato su alcuni obblighi di segnalazione.

Soffermandoci sulla recente giurisprudenza, il Tribunale di Milano, sez. imprese B, con la sentenza del 19/10/2019, ha dato attuazione al Codice della Crisi d’Impresa con la condanna per “mala gestio” degli amministratori a causa della mancata adozione degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili.

La citata sentenza pone in evidenza che la condotta dell’amministratore che si limiti a verificare lo stato di crisi dell’impresa sociale, senza attivarsi prontamente per adottare i rimedi necessari per il superamento dello stesso, non è di per sé in linea con i doveri gestori oggi predicati dall’art. 2086 c.c. come modificato dal d.lgs. n. 14/2019.

La mancata pronta attivazione dell’amministratore, tale da compromettere in modo rilevante le prospettive di ordinata uscita dalla crisi, può configurarsi dunque come violazione del dovere di attivarsi senza indugio di cui all’articolo 2086 c.c., ovvero come grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c.

Ritornando agli obblighi di segnalazione, ricorrendo certi indicatori, tali obblighi sono posti a carico di determinati soggetti che, in ragione del loro ruolo e della loro natura, posso essere in grado di percepire per primi i sintomi della crisi.

In particolare, gli obblighi di segnalazione (sistema di allerta interna) spettano ai seguenti organi di controllo societario:

  • collegio sindacale;
  • sindaco unico;
  • revisore contabile;
  • società di revisione.

Gli obblighi di segnalazione spettano anche agli stessi amministratori, come sancito dagli articoli 24 e 25 del Codice della Crisi d’Impresa, che disciplinano rispettivamente “la tempestività dell’iniziativa” e le “misure premiali”.

I doveri degli amministratori nella procedura di allerta interna

Gli organi di controllo societario, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, hanno l’obbligo di verificare che gli amministratori valutino costantemente:

  1. se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato;
  2. se sussiste l’equilibrio economico-finanziario, considerando il prevedibile andamento della gestione.

La segnalazione indirizzata agli amministratori, fatta per iscritto (a mezzo pec o comunque con mezzi comprovanti l’avvenuta ricezione) deve avere ad oggetto fondati indizi di crisi e deve indicare un termine congruo non superiore a 30 giorni entro il quale gli amministratori sono tenuti a riferire in merito alle soluzioni individuate e alle iniziative intraprese.

Vale la pena ricordare che tale segnalazione è accompagnata da un ulteriore strumento che potremmo definire di “pressione” nei confronti degli amministratori.

Di fatto, in caso di omessa o inadeguata risposta da parte degli amministratori, ovvero di mancata adozione nei successivi 90 giorni delle misure idonee al superamento dello stato di crisi, gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione, anche in deroga all’obbligo di riservatezza al quale sono tenuti, debbono informare prontamente l’Organismo di composizione della crisi d’impresa.

In tale eventualità, la procedura di allerta si attiverà davanti all’OCRI.

Lo schema può essere così riassunto: gli organi di controllo societario informano gli amministratori che si sono mostrati “inerti” o “distratti” dei fondati segnali di crisi affinché questi ultimi si attivino per adottare tempestivamente le misure idonee.

Tali misure idonee, che devono essere adottate dagli amministratori, posso consistere:

  • in azioni economiche e/o gestionali;
  • nella scelta di presentare istanza di composizione assistita della crisi o di fare ricorso ad una procedura di regolazione della crisi;
  • nella scelta di una combinazione tra le varie opzioni.

Enrico Cusin – Centro Studi CGN