Il regime dei rimborsi spese per i lavoratori in smart working

Se è stato stabilito un rimborso spese ai dipendenti in smart working, in quali casi il rimborso spese non concorre alla determinazione del reddito di lavoro dipendente? Ecco i chiarimenti recentemente forniti dall’Agenzia delle Entrate con la risposta all’interpello n. 328 dell’11 maggio 2021.

Sin dall’inizio dell’emergenza epidemiologica il Legislatore ha promosso lo svolgimento di lavoro agile in modalità semplificata rispetto a quanto previsto dalla Legge 22 maggio 2017, n. 81.

Ad oggi, infatti, fino al 31 luglio 2021 è possibile svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile in assenza di accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore contenente informazioni con riferimento:

  • alla durata;
  • al periodo di preavviso;
  • alla disciplina dell’esecuzione della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali, con particolare riguardo agli strumenti tecnologici utilizzati e al rispetto del diritto alla disconnessione per il lavoratore;
  • alle modalità di controllo della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, tenendo conto dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.

È pertanto sufficiente che il datore di lavoro comunichi telematicamente al Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile, attraverso la documentazione resa disponibile dal Ministero stesso.

In conseguenza del perdurare dell’emergenza, si è posto il problema di come debbano essere considerate, ai fini fiscali, le somme corrisposte dal datore di lavoro, a titolo di rimborso spese, ai lavoratori dipendenti in conseguenza dell’utilizzo da parte degli stessi lavoratori di beni quali ad esempio la corrente elettrica ovvero il riscaldamento.

Recentemente l’Agenzia delle Entrate si è più volte pronunciata in merito, da ultimo con la Risposta dell’11 maggio 2021, n. 328.

In particolare, nella fattispecie in esame, la società istante intendeva pattuire con il personale dipendente che svolgeva in via esclusiva attività lavorativa da remoto, il rimborso del 30% dei consumi effettivi addebitati al dipendente ovvero al coniuge convivente per le spese legate alla connessione Internet, al consumo della corrente elettrica, dell’aria condizionata o del riscaldamento.

La società ha proposto istanza di interpello per conoscere se tali somme configurino redditi di lavoro dipendente e, come tali, debbano essere assoggettate a ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali.

Ai sensi dell’articolo 51 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), costituiscono redditi di lavoro dipendente “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono”.

La disposizione sancisce il cosiddetto principio di onnicomprensività dei redditi di lavoro dipendente rilevante ai fini fiscali. Infatti, in via generale, tutte le somme corrisposte dal datore di lavoro al lavoratore, anche a titolo di rimborso spese, costituiscono per il prestatore di lavoro reddito di lavoro dipendente.

Richiamando una precedente Circolare del 23 dicembre 1997, n. 326 nella quale è stato affermato che possono essere esclusi da imposizione i rimborsi concernenti spese di competenza del datore di lavoro, anticipate dal lavoratore (ad esempio spese relative all’acquisto di beni strumentali di piccolo valore quali, a titolo meramente esemplificativo, la carta per la stampante, articoli di cancelleria), l’Agenzia delle Entrate chiarisce, tuttavia, che le spese sostenute dal lavoratore e rimborsate in modo forfetario sono escluse dalla base imponibile, in sede di determinazione del reddito di lavoro dipendente, solo nelle ipotesi in cui il Legislatore abbia previsto un criterio volto a determinare la quota riferibile all’uso nell’interesse del datore di lavoro.

Qualora, invece, il Legislatore non abbia previsto un criterio ai fini della determinazione della quota esclusa da imposizione, i costi sostenuti dal dipendente, nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, dovranno essere individuati sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili.

Inoltre, con Risoluzione del 9 settembre 2003, n. 178, l’Agenzia ha chiarito che non concorrono alla formazione della base imponibile le somme che non costituiscono un arricchimento per il lavoratore, come ad esempio gli indennizzi corrisposti a titolo di reintegrazione patrimoniale, e che non sono fiscalmente rilevanti in capo al dipendente le somme liquidate per un esclusivo interesse del datore di lavoro.

Sulla base di quanto sopra esposto, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che le somme rimborsate dalla società istante ai lavoratori che svolgono l’attività lavorativa in smart working sulla base di un criterio forfetario (30% delle spese sostenute), non supportato da parametri oggettivi e, in assenza di una precisa disposizione di legge in tal senso, non possano essere escluse dalla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

L’Agenzia con Risposta del 30 aprile 2021, n. 314 è pervenuta a diversa conclusione in riferimento ad un caso analogo. Nella fattispecie, la società istante intendeva sottoscrivere accordi di secondo livello ovvero adottare un regolamento aziendale avente ad oggetto il trattamento economico e normativo dei propri dipendenti e dei lavoratori di società appartenenti al medesimo Gruppo che svolgono attività lavorativa in modalità agile.

In particolare, la società intendeva corrispondere ai dipendenti una somma a titolo di rimborso delle spese dai medesimi sostenute al fine di poter svolgere la propria attività lavorativa in regime di smart working.

La società, ai fini del calcolo del rimborso dovuto, aveva predisposto una tabella in cui per ogni tipologia di spesa è stato stimato il risparmio giornaliero per la società stessa e il costo sostenuto dal dipendente in smart working.

L’azienda con istanza di interpello ha chiesto chiarimenti all’Agenzia delle Entrate circa il trattamento fiscale delle somme corrisposte ai dipendenti a titolo rimborso spese e, in particolare, se le stesse potessero essere escluse dal reddito di lavoro dipendente.

Riprendendo la prassi sopra citata, nell’ipotesi prospettata, l’Agenzia, sulla base del criterio per la quantificazione della somma da rimborsare al dipendente prospettato dalla società, ha ritenuto che la quota dei costi rimborsati al dipendente potesse considerarsi riferibile a consumi sostenuti nell’esclusivo interesse del datore di lavoro.

Pertanto, in tale specifico caso, le somme da corrispondere a titolo di rimborso spese ai lavoratori dipendenti che svolgono l’attività lavorativa in modalità agile non devono essere considerate redditi di lavoro dipendente imponibili ai fini IRPEF.

Ai fini della non concorrenza alla determinazione del reddito di lavoro dipendente delle somme corrisposte a titolo di rimborso spese, secondo l’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate è, pertanto, necessario un criterio analitico che permetta di individuare, per ciascuna tipologia di spesa sostenuta dal dipendente, la quota effettivamente riferibile all’interesse esclusivo del datore di lavoro.

Francesco Geria – LaborTre Studio Associato