Buoni pasto in regime di smart working: quale trattamento fiscale?

In conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, molti datori di lavoro si sono visti costretti all’utilizzo del lavoro agile per il proprio personale dipendente, come strumento per evitare contagi nei luoghi di lavoro.

In tale prospettiva, si è reso necessario conoscere come gestire ai fini fiscali emolumenti corrisposti ai dipendenti, pur prestando attività lavorativa da remoto (es. somme erogate a titolo di rimborso delle spese sostenute dal lavoratore per l’esercizio della prestazione lavorativa da casa, servizi sostitutivi delle somministrazioni di vitto).

Con questo contributo vogliamo analizzare il regime fiscale applicabile al servizio sostituivo di mensa mediante buoni pasto riconosciuto ai lavoratori che svolgono la propria prestazione in smart working.

L’Agenzia delle Entrate, con Risposta ad interpello del 22 febbraio 2021, n. 123 si è espressa in merito alla questione, tramite il quale sono stati chiesti chiarimenti circa l’applicabilità o meno al valore dei buoni pasto, corrisposti a lavoratori dipendenti svolgenti l’attività lavorativa in modalità agile, della ritenuta Irpef a titolo d’acconto.

L’Agenzia delle Entrate, in prima analisi, ha chiarito come l’articolo 51, comma 2, lettera c) del DPR del 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) preveda che non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente “le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi; le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino all’importo complessivo giornaliero di euro 4, aumentato a euro 8 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica; le indennità sostitutive delle somministrazioni di vitto corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione fino all’importo complessivo giornaliero di euro 5,29”.

La suddetta disposizione disciplina le seguenti diverse ipotesi di somministrazione di vitto:

  • gestione, anche tramite soggetti terzi, di una mensa da parte del datore di lavoro;
  • prestazione di servizi sostitutivi di mense aziendali (es. corresponsione di buoni pasto);
  • corresponsione di una somma a titolo di indennità sostitutiva di mensa.

Ad eccezione della prima ipotesi riportata, che esclude la corresponsione di qualunque somma dal reddito di lavoro dipendente, nelle altre modalità di somministrazione di vitto vi è una rilevanza reddituale, seppur parziale, degli emolumenti corrisposti ai lavoratori dipendenti.

L’articolo 6, comma 3 del Decreto Legge 11 luglio 1992, n. 333, stabilisce che il valore del servizio di mensa, comunque gestito ed erogato, e l’importo della prestazione pecuniaria sostitutiva di esso, percepita dal lavoratore che non usufruisce del servizio istituito dall’azienda, non costituisce retribuzione a nessun effetto ai fini di istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato.

I buoni pasto, quindi, non rappresentano una parte della retribuzione del lavoratore, salvo diversa previsione di accordi e contratti collettivi, anche aziendali.

L’Istante del quesito ritiene, pertanto che, in mancanza di una specifica previsione contrattuale che inquadri i buoni pasto tra gli elementi della retribuzione, ai fini delle imposte dirette, i medesimi buoni rientrino tra i servizi sostitutivi di mensa parzialmente esenti dalla formazione del reddito di lavoro dipendente.

L’Agenzia delle Entrate si è pronunciata sulla questione, ritenendo che, in assenza di disposizioni che limitano l’erogazione di buoni pasto da parte del datore di lavoro in favore di propri lavoratori dipendenti, trovi applicazione il regime di imponibilità parziale ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. c) del TUIR, indipendentemente dall’orario di lavoro e dalle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.

Pertanto, il sostituto d’imposta sarà tenuto ad operare nei confronti di tutti i lavoratori, anche quelli in smart working, la ritenuta a titolo d’acconto Irpef sul valore dei buoni pasto eventualmente eccedente i 4 euro (se in forma cartacea) ovvero 8 euro (nel caso in cui i buoni pasto siano in formato elettronico).

Francesco Geria – LaborTre Studio Associato