La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 20435 del 19/07/2021, ha chiarito il trattamento, ai fini delle imposte dirette, dell’IVA indetraibile per applicazione del pro rata.
Nella specie, la società aveva dedotto integralmente l’IVA, che, espletando attività di cura ospedaliera, non poteva detrarre in base al meccanismo del pro rata.
Per l’IVA c.d. “attiva” (dovuta dai committenti/cessionari) la rivalsa, come noto, è, di regola, obbligatoria e ad essa si correla l’altrettanto generale diritto di detrazione dell’IVA c.d. “passiva” (pagata ai prestatori/cedenti).
Tuttavia non è detraibile l’IVA relativa alle operazioni esenti (ovvero non soggette all’imposta), laddove, in caso di promiscuità tra operazioni imponibili ed operazioni esenti, la detrazione va determinata secondo un criterio proporzionale (pro rata), in determinate percentuali, normativamente disciplinate.
L’Agenzia delle Entrate aveva quindi notificato un avviso di accertamento, contestando la mancata capitalizzazione/ammortamento dell’IVA indetraibile (per applicazione del pro rata), “incorporata” nel costo di acquisto di beni strumentali.
Affermava in particolare l’Amministrazione finanziaria che, in caso di imposta assolta per l’acquisto di beni ammortizzabili, l’onere doveva essere “capitalizzato” in rate annuali, seguendone il piano di ammortamento.
Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale confermavano la correttezza della ripresa, disconoscendo la deduzione integrale dell’IVA e ritenendo violato il principio di competenza, trattandosi di un costo che, in quanto incorporato nel bene acquistato, doveva seguirne l’ammortamento in quote annuali.
Avverso tale decisione la società contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo la erroneità della pronuncia.
Secondo la Suprema Corte la censura era fondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che tale componente negativa doveva in realtà qualificarsi come un costo generale, potendo detrarsi secondo la regola per cui le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione, mentre le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento.
Secondo la Cassazione in tali casi bisogna esaminare il rapporto tra il principio generale di derivazione del reddito fiscale dall’utile civilistico e la norma specifica per la deducibilità, quale componente negativa, delle imposte assolte dal contribuente, laddove vige la citata modalità contabile-tributaria della deducibilità integrale per cassa delle imposte diverse da quelle dirette.
Nella specie, era pacifico che la società esercitava attività ospedaliera, quindi in esenzione IVA, ma anche attività concretizzante operazioni imponibili, così realizzandosi il meccanismo di detrazione del pro rata, essendo l’IVA assolta in parte detraibile ed in parte non detraibile.
Per la precisione l’IVA oggetto delle contestazioni erariali era indetraibile al 100%.
E, rileva la Corte, l’IVA indetraibile da pro rata, che sia o meno al 100%, deve comunque considerarsi un costo generale di esercizio, che non può essere “imputato” al singolo bene cui si riferisce l’operazione esente/imponibile, bensì alle attività nel loro complesso.
L’IVA non ammessa in detrazione perché imputabile ad operazioni esenti è dunque integralmente deducibile dal reddito imponibile, rappresentando pur sempre un costo collegato ad operazioni che producono un ricavo.
Ed è deducibile per cassa nell’anno del pagamento, quale componente negativo del reddito di impresa.
Giovambattista Palumbo