La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 21846 del 30/07/2021, ha chiarito il valore accertativo della cosiddetta contabilità in nero.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso nei confronti di una società due avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2004 e 2005, con i quali, sulla base di un processo verbale di constatazione, erano stati accertati maggiori ricavi e recuperati a tassazione tributi omessi, oltre sanzioni ed interessi.
La verifica scaturiva da una attività ispettiva a carattere generale effettuata nei confronti di un fornitore abituale della società, nel corso della quale era stata rilevata una contabilità parallela, da cui era emerso che la contribuente aveva effettuato acquisti in violazione dell’obbligo di fatturazione.
A seguito dell’impugnazione della contribuente, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva i ricorsi riuniti.
Avverso la sentenza di primo grado l’Agenzia delle Entrate proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale lo accoglieva, ritenendo legittimo l’accertamento basato su documenti acquisiti presso terzi, costituenti un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità precisione e concordanza.
La società contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo che la CTR aveva tratto presunzioni da altre presunzioni.
Le censure, secondo la Suprema Corte, non erano fondate.
Evidenziano i giudici di legittimità che in tema di accertamento tributario, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, anche se rinvenuta presso terzi, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, e legittima, di per sé, a prescindere da ogni altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo, incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria.
Rileva quindi la Cassazione che l’Amministrazione può sempre fornire elementi, anche indiziari, da cui sia possibile dedurre, con ragionevole consequenzialità, che i documenti elaborati dal contribuente non siano veritieri.
E tra questi, come appunto anche nel caso di specie, rientra ad esempio il fatto che la documentazione extracontabile riporti il nominativo, la data di consegna, la quantità e la descrizione dei prodotti, oltre agli importi relativi alle diverse operazioni.
In conclusione, i dati documentali acquisiti nel corso di un accesso sono utilizzabili ai fini dell’accertamento del reddito a prescindere dal fatto che essi abbiano natura contabile o extracontabile e che siano stati acquisiti presso un soggetto terzo, anziché presso il contribuente destinatario dell’avviso di accertamento.
Nel caso in esame, pertanto, non poteva parlarsi di violazione del divieto di doppia presunzione, la cui sussistenza nell’ordinamento tributario è stata del resto anche esclusa dalla giurisprudenza di legittimità, che ha evidenziato come il fatto noto, accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché gravi, precise e concordanti, può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva, idonea – in quanto, a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto.
Al di là dello specifico caso processuale, giova infine evidenziare quanto segue.
Nella nozione di scritture contabili, disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta.
In caso, pertanto, di reperimento di documenti extracontabili, dimostrativi di attività “in nero”, può essere correttamente ritenuta la sussistenza di ricavi non contabilizzati, sulla base di una presunzione in presenza della quale spetta al contribuente fornire la prova contraria.
Qualunque documento o dichiarazione, comprese le annotazioni, i brogliacci e la contabilità “informale”, può costituire, in sostanza, la base per una presunzione idonea a sorreggere un accertamento, consentendo così l’ingresso nel processo tributario, sotto forma di presunzioni semplici, anche delle prove atipiche.
Giovambattista Palumbo