La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 24365 del 09.09.2021, ha chiarito in quali casi nel processo tributario è possibile compensare le spese di giudizio.
Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva accolto l’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate per la riforma della sentenza di primo grado, che aveva invece accolto il ricorso del contribuente avverso il silenzio – rifiuto dell’Ufficio su istanze di rimborso presentate per l’Irap versata negli anni dal 2005 al 2007, con compensazione delle spese di giudizio; pronuncia, quest’ultima, della quale il contribuente si era doluto con appello incidentale.
Avverso la sentenza della CTR il contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, la quale lo accoglieva, rinviando la causa, anche per le spese, a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale, la quale dichiarava cessata la materia del contendere e compensava le spese dell’intero giudizio.
Avverso tale sentenza il contribuente proponeva ancora ricorso per cassazione, denunciando, per quanto di interesse, la violazione dell’art. 15, commi 1 e 2, Dlgs. n. 546/1992 e dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., e censurando la sentenza per avere la CTR disposto la compensazione delle spese del giudizio in assenza di valide ragioni.
Secondo la Suprema Corte la censura era fondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che la CTR, dopo aver dichiarato la cessazione della materia del contendere, aveva compensato le spese processuali «in virtù del pronunciamento delle sezioni unite». Nel corpo della motivazione era infatti menzionata la decisione delle Sezioni Unite n. 9451 del 10 maggio 2016, che, secondo la CTR, mutando il precedente orientamento in materia, aveva “riletto” i presupposti per l’integrazione del requisito dell’autonoma organizzazione ai fini Irap.
La Cassazione ricorda però che la statuizione di cessazione della materia del contendere comporta comunque l’obbligo per il giudice di provvedere sulle spese del giudizio, salva la facoltà di disporne motivatamente la compensazione, totale o parziale (cfr., Cass. n. 3148 del 2016).
Nel caso di specie trovava dunque applicazione l’art. 15, comma 2, del Dlgs. n. 546/1992, con le modifiche introdotte dall’art. 9, comma 1, lett. f), n. 2, del Dlgs. n. 156/2015, le quali operano in relazione a tutti i giudizi pendenti alla data della sua entrata in vigore (1° gennaio 2016).
Rileva quindi la Suprema Corte che, non essendovi nella specie soccombenza reciproca, la CTR avrebbe dovuto, al fine di esercitare legittimamente la facoltà di compensazione delle spese di lite, valutare la ricorrenza di gravi ed eccezionali ragioni, indicandole poi espressamente nella motivazione.
I giudici di appello, a sostegno della disposta compensazione delle spese processuali, come visto, avevano invece semplicemente richiamato il pronunciamento delle sezioni unite, che, asserivano, aveva mutato «il precedente orientamento in materia […]». Con la suddetta pronuncia, tuttavia, evidenzia la Cassazione, le Sezioni Unite avevano in realtà confermato un orientamento da tempo consolidatosi (dopo Cass., Sez. U., n. 12108 del 2009), limitandosi solo a precisare che il presupposto dell’autonoma organizzazione non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive.
Tanto premesso, i giudici rilevano che nel processo tributario le «gravi ed eccezionali ragioni» necessarie per giustificare la compensazione totale o parziale delle spese del giudizio, non possono essere illogiche o erronee, configurandosi altrimenti un vizio di violazione di legge, denunciabile anche in sede di legittimità (cfr., Cass. n. 2206 del 2019; v. anche Cass. n. 23059 del 2018, Cass. n. 6059 del 2017).
E dunque, nel caso in esame, la CTR aveva errato nel disporre la compensazione delle spese processuali sulla base dell’inconferente richiamo alla pronuncia delle Sezioni Unite.
Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue.
Ai sensi dell’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal Dl. n. 132 del 2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata, o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino le stesse (cfr., Cass., 18 febbraio 2019, n. 4696).
Se è vero del resto che la compensazione delle spese di giudizio costituisce una facoltà discrezionale riservata al giudice di merito, tuttavia, il sindacato di legittimità si può sempre estendere alla verifica dell’idoneità in astratto dei motivi posti a giustificazione della stessa compensazione (cfr., Cass., Ordinanza n. 26689 del 21/10/2019), laddove le “gravi ed eccezionali ragioni” devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa.
La compensazione immotivata delle spese di giudizio, rendendo inoperante il principio di responsabilità, si tradurrebbe infatti in un ingiustificato privilegio per la parte soccombente.
In conclusione, la possibilità di compensare, in tutto o in parte, le spese di giudizio è tassativamente condizionata alle seguenti ipotesi alternative:
- soccombenza reciproca;
- sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere espressamente motivate dal giudice, non rientrando tra queste i motivi di equità. Nel caso in cui infatti la Commissione Tributaria decidesse secondo equità, la sentenza sarebbe nulla, in quanto in sostanza non motivata.
Giovambattista Palumbo