La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 27045 del 06.10.2021, in un caso di redditometro, ha affermato che l’invito dell’Amministrazione finanziaria a fornire dati e notizie, di cui all’art. 32, quarto comma, del Dpr. n. 600 del 1973, assolve alla funzione di assicurare un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per definire le rispettive posizioni. La mancata risposta alla richiesta è dunque espressamente sanzionata con la preclusione dell’allegazione di dati e della esibizione di documenti non forniti in fase procedimentale.
Nella specie, a seguito di verifica fiscale condotta attraverso l’invio di un questionario recante invito a produrre documentazione, l’Agenzia delle Entrate aveva proceduto, con metodo sintetico ex art. 38 del Dpr. 29 settembre 1973, n. 600, alla ricostruzione del reddito del contribuente.
In specie, l’Ufficio aveva accertato, in capo al contribuente, un incremento patrimoniale generato dall’acquisto di un fabbricato per un prezzo di euro 880.000 (imputando l’importo di euro 176.000, pari ad un quinto del totale, all’anno d’imposta in verifica), la disponibilità di un immobile adibito a residenza principale e di altri tre immobili a titolo di residenze secondarie (nonché la sopportazione delle spese per il mantenimento degli stessi), la disponibilità di quattro autovetture (con il carico dei relativi esborsi) e il pagamento di premi assicurativi.
Individuato l’importo reddituale attribuito ai singoli beni come indice di ricchezza in applicazione del c.d. redditometro, l’Agenzia determinava quindi il maggior reddito percepito ai fini IRPEF e recuperava a tassazione l’imposta non versata, maggiorata di sanzioni ed interessi.
Il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento, disatteso in primo grado, veniva poi accolto in appello dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale rilevava che dalla documentazione in atti e dalla movimentazione di c/c bancario, prodotta nel corso del giudizio di primo grado e ritenuta utilizzabile e non preclusa dall’art. 32 del Dpr. n. 600 del 1973, si evinceva che il contribuente aveva effettuato versamenti e prelievi che, bilanciandosi, davano conto delle modalità di finanziamento dell’accrescimento delle proprie acquisizioni patrimoniali.
L’Agenzia delle Entrate ricorreva quindi in Cassazione, deducendo, per quanto di interesse, l’inutilizzabilità, in difetto della dichiarazione del contribuente in ordine alla causa non imputabile che aveva impedito di adempiere in fase procedimentale alla richiesta di produzione, della documentazione bancaria non prodotta in risposta all’invito contenuto nel questionario prodromico all’atto impositivo.
Secondo la Suprema Corte la censura era fondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che, in tema di accertamento fiscale, l’invito dell’Amministrazione finanziaria a fornire dati e notizie, di cui all’art. 32, quarto comma, del Dpr. n. 600 del 1973, assolve alla funzione di assicurare – in ossequio ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione operanti in materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per definire le rispettive posizioni, mirando altresì ad evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, per cui la mancata risposta alla richiesta è espressamente sanzionata con la preclusione (in sede amministrativa e processuale) dell’allegazione di dati e della esibizione di documenti non forniti in fase procedimentale.
Tale inutilizzabilità, rileva la Corte, consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio.
La stessa non opera soltanto quando il contribuente, beneficiando della deroga prevista dal quinto comma del citato art. 32, depositi, unitamente all’atto introduttivo del giudizio di primo grado, le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri non trasmessi e contestualmente dichiari di non aver potuto adempiere alle richieste dell’Ufficio per causa a lui non imputabile (cfr., tra le altre, Cass. 11/02/2021, n. 3442).
Di tali principi di diritto la CTR non aveva fatto buon governo, laddove, in relazione agli estratti di conto corrente bancario prodotti solo al momento della costituzione nel giudizio di primo grado, il giudice aveva considerato superata la preclusione posta dall’art. 32, terzo comma, del Dpr. n. 600 del 1973 per aver il contribuente «motivato la mancata esibizione ancor prima di sostenere le sue ragioni in sede di contenzioso», cioè per aver «dato informazione all’ufficio dei legittimi motivi» della mancata ostensione documentale in fase amministrativa. Argomentazione questa contraria alla lettera ed alla ratio della disposizione, che, come visto, richiede la necessità della deduzione in sede contenziosa (rectius, con il ricorso introduttivo della lite) della causa non imputabile ostativa all’ottemperanza all’invito dell’Amministrazione.
Nella specie, invece, dal contenuto dell’atto introduttivo della lite risultava il mancato adempimento del descritto obbligo formale, gravante sul contribuente.
E tale mancanza avrebbe dovuto senz’altro condurre il giudice a ritenere la inutilizzabilità degli estratti conto bancari.
Giovambattista Palumbo