La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 25588 del 21/09/2021, ha chiarito quali sono i presupposti di legittimità per motivare per relationem un avviso di accertamento.
Nella specie, l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che, nell’ambito di una controversia su impugnazione di avviso di accertamento per IRES ed IVA, aveva accolto l’appello proposto dalla società contribuente.
La Commissione Tributaria Regionale aveva, in particolare, riformato la decisione di primo grado, sul presupposto che l’atto impositivo fosse nullo per difetto di motivazione a causa dell’omessa l’allegazione di una segnalazione dell’Ufficio Antifrode, il cui stralcio – oltre ad essere stato trascritto – era stato menzionato come documento annesso.
Nel ricorrere in Cassazione, l’Amministrazione finanziaria denunciava la violazione degli artt. 42 del Dpr. 29 settembre 1973 n. 600 e 7, comma 1, della Legge 27 luglio 2000 n. 212, per avere la CTR, a suo avviso erroneamente, ritenuto che l’omessa allegazione della segnalazione dell’Ufficio Antifrode causasse la nullità dell’avviso di accertamento.
Secondo la Suprema Corte la censura era fondata.
Evidenziano i giudici di legittimità che la motivazione dell’avviso di accertamento conteneva un esplicito riferimento alla segnalazione dell’Ufficio Antifrode, ma era non di meno pacifico che il richiamato “stralcio” della suddetta segnalazione non era poi stato mai allegato all’avviso di accertamento stesso.
Rileva a tal proposito la Cassazione che, nel regime introdotto dall’art. 7 della Legge 27 luglio 2000 n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato, ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consenta al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (così: Cass., 25 marzo 2011, n. 6914; Cass., 25 luglio 2012, n. 13110; Cass., 15 aprile 2013, n. 9032; Cass., 11 aprile 2017, n. 9323; Cass., 11 settembre 2017, n. 21066; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4396; Cass., 5 ottobre 2018, n. 24417; Cass., 15 dicembre 2020, n. 28574; Cass., 9 febbraio 2021, n. 3183).
Più precisamente, rileva ancora la Corte, l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare tutti gli atti citati nell’avviso deve essere inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, comma 3, della Legge 7 agosto 1990 n. 241.
Ne consegue quindi che all’avviso di accertamento vanno allegati i soli atti aventi contenuto integrativo della motivazione dell’avviso medesimo e che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale, ma non anche gli altri atti cui l’Amministrazione finanziaria faccia comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva (in termini: Cass., 5 ottobre 2018, n. 24417; Cass., 15 dicembre 2020, n. 28574; Cass., 9 febbraio 2021, n. 3183).
E tale principio, concludono i giudici, può essere ribadito e confermato anche per l’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria ometta di allegare all’atto impositivo documenti della cui allegazione sia stata fatta ivi espressa menzione, sempre che il relativo contenuto (almeno per le parti rilevanti e salienti) sia stato comunque riprodotto (in forma integrale o sintetica) in motivazione.
Tale omissione, infatti, non arreca in realtà al contribuente alcuna menomazione del diritto di difesa, trattandosi di un adempimento superfluo rispetto alla motivazione dell’atto impositivo, che è già integrata dalla riproduzione o dalla sintesi del documento richiamato (ma non allegato).
In conclusione, applicando tali principi al caso di specie, il giudice di appello aveva errato nel ritenere che la segnalazione dell’Ufficio Antifrode dovesse essere necessariamente allegata, a pena di nullità, all’avviso di accertamento, nonostante la trascrizione in premessa della parte rilevante del suo contenuto, che rendeva pertanto eccessivo l’ulteriore adempimento.
Giovambattista Palumbo