Dopo un anno di piena operatività della piattaforma per la cessione dei crediti e degli sconti in fattura dei bonus edilizi, è stato stimato che siano oltre 800 milioni i crediti d’imposta inesistenti. L’allarme frodi ha portato al decreto legge 157/2021, che prevede maggiori impegni e controlli da parte dell’Agenzia. Alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione, sorge altresì la necessità di distinguere i crediti d’imposta non spettanti da quelli inesistenti.
Il primo riferimento è stabilito all’art. 13 D.Lgs. 471/97, commi 4 e 5, secondo i quali:
- il credito non spettante attiene all’utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste. Per esempio: crediti utilizzati oltre il limite normativo, pagamenti effettuati con modalità diverse da quelle consentite oppure lavorazioni edili che non consentono il beneficio fiscale.
- il credito inesistente riguarda il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli automatizzati di cui agli artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. 600/73 e art. 54-bis D.P.R. 633/72. Si tratta di un credito materialmente non esistente.
In altri termini, possiamo assumere che i crediti sono considerati non spettanti quando l’illecito è rilevabile attraverso l’attività di controllo da parte dell’ufficio, in conseguenza di una verifica documentale tra i dati esposti in dichiarazione e i documenti conservati ed esibiti dal contribuente (per esempio una lavorazione edile che non gode del beneficio fiscale). Quando, invece, il credito d’imposta è stato generato da operazioni simulate o da documenti falsi, ancorché lo stesso credito sia indicato in dichiarazione, si può considerare il credito come inesistente. Si tratta delle ipotesi che si caratterizzano per la frode che si fonda sul dolo specifico, ossia per la volontà manifestata di conseguire un fatto penalmente rilevante (fatturazione per operazioni oggettivamente inesistenti, oppure presentazione di documenti falsi).
Dal punto di vista sanzionatorio, si applica la seguente disciplina:
- per i crediti non spettanti, trattandosi di un illecito amministrativo, è prevista la sanzione amministrativa del 30%;
- per i crediti inesistenti, si applica una sanzione cha varia dal 100% al 200% senza la possibilità di avvalersi dell’istituto della definizione agevolata.
Il quadro sanzionatorio è completato dall’art. 10-quater D.Lgs. 74/2000, che prevede la reclusione da 6 mesi a 2 anni nel caso di utilizzo indebito di crediti non spettanti e da 1 anno e 6 mesi a 6 anni, per chi utilizza in compensazione crediti inesistenti, qualora vengano superate le soglie ivi previste.
La distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti è stata oggetto delle sentenze n. 34444 e 34445 del 16 novembre 2021 da parte della Corte di Cassazione. Per i giudici, l’inesistenza si concretizza, in aderenza al dato normativo, quando manca il presupposto costitutivo, vale a dire quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente e quando tale mancanza non è riscontrabile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell’anagrafe tributaria, banca dati pubblica disciplinata dal DPR n. 605 del 1973, su cui detti controlli anche si fondano.
La distinzione tra le due tipologie di crediti riverbera i suoi effetti anche rispetto ai termini di decadenza per l’accertamento delle relative fattispecie alla luce del recente decreto legge Antifrodi. In particolare, l’art. 3 del D.L. 157/2021 ha stabilito che per le agevolazioni del settore edilizio (e i contributi a fondo perduto erogati dal Fisco a causa dell’emergenza Covid), l’agenzia delle Entrate provvederà, in assenza di una specifica disciplina, a emanare un atto di recupero (ex art. 1, commi 421 e 422, L. n. 311/2004). Tale atto deve essere notificato a pena di decadenza:
- per i crediti non spettanti, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione;
- per i crediti inesistenti, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo.
Rimarcando quanto sostenuto dalla Suprema Corte, il maggior termine è giustificato dalla non immediata riscontrabilità da parte del fisco, mediante i suddetti controlli, del carattere indebito della compensazione. La maggior durata si collega ai casi per i quali si rende necessaria una più complessa attività istruttoria.
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN