Riforma del catasto: a volte ritornano

Ebbene sì, il tema è recentemente e nuovamente riapprodato sui tavoli istituzionali: sono due i commi dell’articolo 6 della legge “delega” in materia fiscale deputati a puntualizzare i macro-obiettivi della riforma del catasto, della quale si è spesso sentito parlare in passato per la sua finalità di dare trasparenza e intervenire organicamente sul vecchio sistema del 1939, ma che di fatto a tutt’oggi non risulta attuata. Riforma, peraltro, ora etichettata “di accompagnamento” al P.N.R.R., cioè concorrente a realizzarne gli obiettivi generali.

L’articolo 6 è titolato “Princìpi e criteri direttivi per la modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e la revisione del catasto dei fabbricati”. L’esecutivo ha comunque preliminarmente chiarito che il provvedimento non comporterà aumento della tassazione sul patrimonio immobiliare (quindi in termini di imposte dirette, indirette sui trasferimenti, IMU): la prima fase della riforma si concentrerà piuttosto su una rivisitazione del sistema di rilevazione catastale degli immobili, in particolare sul “contrasto alle irregolarità e agli abusi” nonché sul “rinnovamento degli strumenti di individuazione e controllo delle consistenze di terreni e fabbricati”, anche mediante incentivi e valorizzazione delle attività di accertamento svolte dai soggetti istituzionali coinvolti. Peraltro, il processo di migrazione al S.I.T. (Sistema integrato del Territorio), recentemente conclusosi e che ha interessato tutti gli U.P.T. (Uffici Provinciali-Territorio) dislocati sul territorio nazionale – ad eccezione delle Provincie Autonome di Trento e Bolzano che adottano il sistema catastale tavolare – avrà un ruolo fondamentale dal punto di vista tecnologico per ottenere il quadro rappresentativo aggiornato della reale situazione immobiliare nazionale.

La promessa istituzionale di non aumentare l’imposizione fiscale va tuttavia riferita agli immobili regolarmente accatastati, poiché il primo obiettivo della riforma è appunto far emergere quel “patrimonio immobiliare fantasma” che tanto rode all’Amministrazione finanziaria e a tutti quei contribuenti “regolari” che ne pagano le conseguenze.

La caccia alle irregolarità e agli abusi si sostanzierà in particolari procedure, modelli organizzativi e strumenti resi disponibili all’Agenzia delle Entrate e ai Comuni volti a facilitare ed accelerare, tramite interscambi telematici di dati e documenti, l’individuazione e il corretto classamento di immobili non accatastati, abusivi o con risultanze sulla carta che divergono dalla reale situazione (es. terreni agricoli che dovrebbero risultare aree edificabili), in termini di categoria catastale, destinazione d’uso, consistenza; solo in questi casi, quindi, si potrà assistere ad effetti più o meno pesanti sulla tassazione immobiliare, ma trattasi in realtà di un contrasto all’evasione (pensiamo semplicemente all’IMU, alla TARI).

Un rapporto di fine 2020 dell’Agenzia delle Entrate evidenzia che sono circa 76,5 milioni gli immobili censiti in catasto, di cui 66 milioni risultano accatastati in categorie ordinarie o speciali, 3,6 milioni rientrano in categoria F e 6,8 milioni sono beni non censibili, di proprietà comune o in costruzione. Sarebbero invece 1,2 milioni gli immobili non censiti in catasto, cioè quel patrimonio “fantasma” che il fisco vuole far emergere.

L’altro grande obiettivo della riforma – che corrisponde ad una seconda e successiva fase della stessa – a partire dal 2026, è ottenere una mappatura aggiornata degli immobili situati sul territorio nazionale grazie a nuovi criteri di classificazione per gli stessi, quindi integrare le informazioni del catasto fabbricati affiancando al valore della rendita attuale un valore patrimoniale e una rendita attualizzata legata ai valori di mercato, a loro volta soggetti a periodico aggiornamento e adeguamento alle condizioni del mercato di riferimento. Inoltre, per gli immobili di interesse storico o artistico sono previsti correttivi in diminuzione del valore patrimoniale in virtù delle più elevate spese di conservazione e manutenzione nonché dei vincoli legislativi riguardanti utilizzo, destinazione, restauro e circolazione giuridica cui tali immobili sono soggetti.

L’esecutivo intende in tal modo insistere su quell’operazione di trasparenza ed equità voluta fin dalle origini del progetto, specificando testualmente che la riforma anche qui non determinerà un aumento di tassazione sugli immobili (la norma asserisce che “le informazioni rilevate secondo i principi di cui al presente comma non siano utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali né, comunque, per finalità fiscali”); tuttavia non possiamo escludere che il l’intento di ridisegnare il sistema catastale potrebbe costituire un fondamento per scelte future in materia fiscale.

Pertanto, non resta che attendere i decreti-legge attuativi di quanto disposto in linea generale – tramite principi e criteri direttivi – dai commi dell’articolo 6 della legge delega in materia fiscale, per verificare gli effetti concreti nonché la reale portata di questa conclamata (ma anche da più parti contestata) riforma, che avrà come fondamentale finalità l’adeguamento del valore catastale al valore reale di tutti gli immobili nonché l’eliminazione di tutte quelle sperequazioni del catasto derivanti dall’obsoleto sistema del 1939, mai aggiornato fino al 1962 e rivisto solo nel 1990 (le rilevazioni ci dicono che attualmente il 25% degli immobili ha un valore catastale corrispondente a circa il 25% del valore di mercato; d’altro canto un quarto dei proprietari subisce una tassazione superiore all’ 80% rispetto a quella che dovrebbe realmente sostenere).

Michele Viel – Centro Studi CGN