Come devono essere dichiarati e tassati i proventi derivanti dall’attività di staking di criptovalute, nel caso in cui il conto on line (wallet) venga aperto presso una piattaforma gestita da una società italiana?
A rispondere è l’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello n. 437 pubblicata il 26 agosto 2022 a rettifica della precedente risposta all’interpello n. 433 dello scorso 24 agosto 2022.
Prima di entrare nel vivo dell’argomento, chiariamo cos’è lo staking di criptovalute. Si tratta essenzialmente di un modo di guadagnare premi come ricompensa per il semplice fatto che si detengono determinate criptovalute e le si lasciano immobilizzate (vincolate) affinché vengano utilizzate dalla blockchain con il meccanismo di consenso chiamato Proof of Stake (POS).
Il meccanismo Proof of Stake riduce i costi delle transazioni e non richiede ai miner di risolvere continuamente problemi matematici per trovare nuovi blocchi. Le transazioni sono invece convalidate da tutte le persone che hanno investito nella blockchain tramite appunto lo staking di criptovalute.
Le criptovalute che le persone hanno impegnato nello staking fungono da garanzia della legittimità di ogni nuova transazione che aggiungono alla blockchain. In buona sostanza, lo staking svolge una funzione simile a quella del mining di criptovalute.
Per l’Agenzia delle Entrate, le remunerazioni in criptovaluta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell’attività d’impresa, per l’attività di staking sono soggette a imposizione ai sensi della lettera h) comma 1 dell’articolo 44 del TUIR e pertanto, se accreditate nel wallet da una società italiana, quest’ultima è tenuta all’applicazione della ritenuta nella misura del 26% (art. 26 comma 5 del DPR 600/73).
L’art. 44, comma 1, lettera h) del TUIR dispone che costituiscono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.
Sono pertanto inquadrabili tra i redditi di capitale sulla base di tale fattispecie impositiva non soltanto i redditi che sono determinati o predeterminabili, ma anche quelli variabili, in quanto la relativa misura non è collegata a parametri prefissati.
Precisa ancora l’Agenzia che per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito.
Pertanto, tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale possono essere attratti ad imposizione fiscale sulla base di tale disposizione.
Per quanto attiene agli obblighi dichiarativi, tenuto conto che il contribuente è una persona fisica residente in Italia, tali remunerazioni dovranno essere assoggettate a ritenuta a titolo d’acconto da parte della Società e indicate dal contribuente nella sezione I-A Redditi di capitale del Quadro RL del Modello Redditi.
Con riferimento agli obblighi di monitoraggio fiscale, tenuto conto che il contribuente detiene il wallet presso una società italiana, non è tenuto agli obblighi di monitoraggio fiscale, né tanto meno al pagamento dell’IVAFE.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN