Emissione e vendita di utility token: trattamento ai fini IVA

La cessione di utility token non è soggetta a imposta sul valore aggiunto. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n. 507 del 12 ottobre 2022 ad un contribuente (società) che opera nel campo della protezione del diritto d’autore mediante registrazione delle opere nella blockchain.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, nel caso in esame, essendo i token emessi a seguito di una I.C.O., essi sono equiparabili ai documenti di legittimazione e, di conseguenza, la relativa cessione non è soggetta a IVA.

La cessione di un documento di legittimazione non assume rilevanza ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. Non integra, in sé, una prestazione di servizi o una cessione di beni, limitandosi a identificare l’avente diritto ad un “vantaggio” (nella fattispecie in esame, uno sconto sull’acquisto dei servizi della società).

Ma cos’è una I.C.O.? Le I.C.O. (Initial Coin Offerings, tradotto in italiano “offerta di moneta iniziale”) sono una forma di finanziamento, utilizzata da start-up o da soggetti che intendono realizzare un determinato progetto, resa possibile tramite la tecnologia blockchain.

Come funziona una I.C.O.? Generalmente, l’impresa emittente offre al pubblico un progetto da finanziare attraverso la vendita di token digitali di un dato valore ai soggetti interessati (persone fisiche non esercenti attività di impresa commerciale). In buona sostanza, i soggetti che aderiscono al finanziamento acquistano i token, effettuando un vero e proprio investimento del proprio risparmio remunerato in vario modo.

I token possono essere distinti in: security token e utility token.

I security token (chiamati anche “investment token” o “equity token”) sono rappresentativi di diritti economici legati all’andamento dell’iniziativa imprenditoriale (diritto agli utili, ad esempio) e/o di diritti amministrativi (diritti di voto su determinate materie). Un security token rappresenta una quota della società che emette il token e gli investitori che comprano questi token sperano di ottenere un profitto dall’investimento.

Dal punto di vista tecnico, i security token sono emessi su una blockchain e per questo ne ereditano l’efficienza, la trasparenza e la velocità, mentre sul fronte della regolamentazione, essendo molto simili alle security tradizionali, i security token beneficiano di misure di regolamentazione da parte dei governi che offrono una maggiore protezione dalle frodi.

Gli utility token sono rappresentativi di diritti diversi, legati alla possibilità di utilizzare il prodotto o il servizio che l’emittente intende realizzare. Gli utility token nascono invece per uno specifico scopo, come ad esempio, la possibilità di usare il token su una piattaforma per fruire di un particolare vantaggio o riscattare un servizio speciale o di favore. Vengono utilizzati nell’ambito delle I.C.O. per suscitare interesse nei prodotti o servizi dell’ente emittente il token.

Nel caso in esame, l’I.C.O. è stata lanciata per emettere degli utility token per reperire la dotazione finanziaria necessaria per completare la sua infrastruttura tecnologica e coprire le spese di gestione fino al raggiungimento del break even point (punto di equilibrio economico). Va da sé che, nel momento in cui l’iniziativa imprenditoriale va a buon fine, i possessori di questi utility token hanno il diritto di usufruire dei servizi forniti dalla società ad un prezzo scontato, non praticato invece a chi non acquista detti strumenti in sede di I.C.O.

L’Agenzia delle Entrate ricorda, infine, che quando il possessore utilizzerà il token per acquistare a prezzo scontato il servizio della società, detta operazione sarà soggetta a IVA con l’aliquota propria della prestazione di servizio ricevuta e tenendo conto sia dello status del committente (business o consumer), sia dello Stato in cui quest’ultimo è stabilito ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

La risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate è conforme ai principi di ordine generale, ripresi soprattutto dalla prassi internazionale. Si rammenta infatti che la mancanza di una disciplina fiscale in materia di cripto-assets cui fare riferimento impone di agire per analogia e seguendo gli orientamenti degli altri Stati che in qualche modo hanno trattato la materia.

Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN

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