Negli ultimi anni l’Italia ha fatto molto per introdurre politiche e misure orientate alla parità di genere. C’è ancora parecchia strada da fare, però, per conseguire un effettivo equilibrio su tutte le dimensioni in cui la gender equality si può esprimere. Alla radice non ci sono carenze istituzionali o vuoti legislativi, ma fragilità del sistema culturale, sociale e produttivo, che hanno riflessi sui singoli attori economici, imprese in primis.
Il Global Gender Gap Report 2022 – la più importante ricerca sul tema della parità di genere a livello globale, sviluppata da World Economic Forum – pone l’Italia al 63° posto su 146 Paesi monitorati, in una sezione della graduatoria occupata da nazioni in via di sviluppo.
Rispetto alle quattro macroaree che vengono analizzate dal report, l’Italia ha colmato i gap riguardanti educazione e salute; le donne rimangono penalizzate, invece, per ciò che concerne la partecipazione alla vita politica ed economica.
Questi squilibri si traducono in costi per l’intero sistema e in mancate opportunità per le nostre imprese. È ampia e consolidata la letteratura che mette in relazione la capacità di gestire la diversity – fra cui quella di genere – a indicatori di salute organizzativa, produttività, benessere in azienda, capacità di attrarre e trattenere talenti, attitudine a innovare.
Orientamenti globali ed europei
Le Nazioni Unite nel 2015, con Agenda 2030, hanno dettato i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che orientano il sistema globale alla sostenibilità. Tra questi campeggia l’Obiettivo 5: Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze.
L’Unione Europea, nel marzo del 2020, ha predisposto il documento “Un’Unione dell’uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025”. La Strategia si orienta a misure specifiche volte a conseguire la parità di genere, inserendo sistematicamente una prospettiva di genere in ogni fase dell’elaborazione delle politiche in tutti i settori di azione dell’UE.
A luglio 2021 l’Italia, tramite la Ministra per le Pari opportunità, ha redatto la Strategia Nazionale sulla Parità di Genere 2021-2025, di cui uno dei dispositivi legislativi è la Legge 5 novembre 2021 n. 162 sulla parità salariale.
La legge sulla parità salariale (Legge Gribaudo)
La legge sulla parità salariale (L. 162/2021) è una norma che introduce una serie di modifiche e integrazioni al Codice sulle pari opportunità tra uomo e donna, con particolare riferimento all’ambito lavorativo e alla vita organizzativa.
Le novità essenziali introdotte possono essere ricondotte alle seguenti:
- certificazione della parità di genere, in vigore dal 1/1/2022: lo strumento certifica le strategie, politiche e misure adottate dalle organizzazioni per ridurre il gender gap e favorire un luogo di lavoro inclusivo;
- tavolo di lavoro sulla certificazione di genere per le imprese: istituito con Decreto del 5 aprile 2022, mediante approfondimenti, elaborazione di proposte e monitoraggio delle attività, il Tavolo concorre al funzionamento del sistema della certificazione della parità di genere;
- sgravi contributivi e premialità per le imprese che adottano la certificazione di genere;
- estensione dell’obbligo alla redazione del rapporto di genere per ogni azienda, pubblica o privata, con oltre 50 dipendenti (la normativa precedente fissava questo obbligo alle organizzazioni con oltre 100 dipendenti);
- concetto di discriminazione indiretta: riguarda atti di natura organizzativa e oraria nei luoghi di lavoro che mettono la lavoratrice – e la candidata in fase di selezione del personale – in una posizione di svantaggio, limitandone le opportunità di partecipazione alla vita aziendale e le possibilità di carriera.
La certificazione della parità di genere (Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022)
Il 16 marzo 2022 è entrata in vigore la prassi di riferimento UNI/PDR 125:2022 “Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l’adozione di specifici KPI (indicatori di performance) inerenti alle Politiche di parità di genere nelle organizzazioni”.
La prassi fornisce uno schema di indicatori (KPI), qualitativi e quantitativi, per valutare l’approccio strategico e operativo di un’azienda nella gestione della diversità e dei gap di genere. Questi sono associati a un sistema di punteggio e suddivisi nelle seguenti aree:
- Cultura e strategia (strategie, politiche, meccanismi di segnalazione, sensibilizzazione, formazione);
- Governance (organi di governo, funzioni aziendali, obiettivi, budget specifici);
- Processi HR (gestione e sviluppo delle risorse umane in ottica di inclusione, sistemi di monitoraggio);
- Opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda (partecipazione femminile alla vita aziendale, ad ogni livello);
- Equità remunerativa per genere;
- Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.
Nel caso di aziende micro e piccole (entro i 49 dipendenti), viene richiesto di verificare il rispetto di un sottoinsieme dei KPI inclusi nella prassi.
Opportunità della certificazione di genere per le imprese
Sono sempre di più gli Enti di certificazione in grado di validare il rispetto della UNI/PDR 125:2022.
La certificazione è, per l’azienda, prima di tutto una scelta strategica: implica la gestione strutturata di una tematica, quella dell’inclusione e della parità di genere, che incide su importanti intangibili organizzativi.
Ci sono inoltre immediate opportunità, previste dalla L. 162/2021, per le organizzazioni dotate di certificazione. Su tutte:
- esonero contributivo in misura non superiore all’1% dei contributi totali, per un massimo di Euro 50.000;
- criteri premiali concessi dalla Pubblica Amministrazione nei bandi di gara, negli avvisi o negli inviti relativi a procedure per l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere.
La UNI/PDR auspica che Reti d’impresa, Consorzi e General Contractor estendano l’applicazione della prassi anche ai consorziati, imprese del network e fornitori. Adottare, oggi, la certificazione di genere significa dunque orientarsi al futuro, anticipando richieste cogenti di rilevanti partner economici.
Non dimentichiamo, infine, che tra le pieghe della prassi UNI si annidano alcune prescrizioni obbligatorie per le imprese, spesso poco conosciute. Pertanto si consiglia una riflessione sul tema di genere e una valutazione della situazione aziendale alla luce dell’impianto complessivo introdotto dalla certificazione.
Andrea De Colle – Sustainability & CSR Project Manager Associazione Animaimpresa