A più di quattro mesi dalla loro entrata in vigore, due delle misure previdenziali più rilevanti introdotte dalla Legge di Bilancio per l’anno 2023, ovvero il pensionamento flessibile “Quota 103” e Opzione donna, per motivi diversi non sembrano riscuotere sufficiente interesse da parte degli assicurati. Anche le attese indicazioni amministrative, laddove intervenute, risultano piuttosto avare di precisazioni e chiarimenti.
Il nuovo “trattamento di pensione anticipata flessibile” Quota 103, che consente di accedere al pensionamento con almeno 62 anni di età e 41 di contribuzione, è una misura sperimentale per il solo anno 2023 e, al pari delle precedenti “Quota 100” e “Quota 102”, delle quali ne ricalca l’impianto, è stata introdotta in via transitoria in attesa della più volte annunciata e altrettanto rinviata rivisitazione strutturale della “legge Fornero” sulle pensioni.
Di questa misura, introdotta per agevolare l’affermata necessità di garantire ai lavoratori una uscita anticipata dal mondo del lavoro, colpisce la contestuale introduzione, insieme ad essa, di due disincentivi al suo utilizzo: il tetto di importo massimo del trattamento percepibile, pari a circa 2.820 euro lordi mensili, e l’allettante possibilità, per i lavoratori in possesso dei requisiti per l’accesso a “Quota 103”, di non servirsene ma di continuare a lavorare, con possibilità di “dirottare” la propria quota di contributi verso lo stipendio (incentivo al trattenimento in servizio).
Ciò consentirebbe di aumentare sensibilmente la retribuzione complessiva, ma a naturale detrimento dell’accantonamento contributivo che darà luogo all’importo del trattamento pensionistico futuro.
L’esercizio di tale facoltà, pertanto, dovrà essere valutato con la dovuta attenzione, date le possibili implicazioni negative per l’interessato al momento dell’accesso al pensionamento.
Peraltro, a conferma di quanto affermato in premessa, al momento in cui si scrive si è ancora in attesa dell’apposito Decreto Interministeriale che dovrà dettare le modalità applicative di tale incentivo al trattenimento in servizio.
Le significative, restrittive, novità, tanto sui requisiti soggettivi quanto su quelli oggettivi, riservate al pensionamento anticipato delle donne con ricalcolo contributivo, c.d. “Opzione donna”, rappresentano la principale causa del suo ridotto utilizzo rispetto agli anni precedenti.
In particolare, secondo la nuova formulazione potranno accedere a Opzione donna le lavoratrici che entro il 31 dicembre 2022 hanno maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un’età anagrafica di 60 anni, ridotta di un anno per ogni figlio avuto dall’interessata, nel limite massimo di due anni.
Oltre alle perplessità relative all’applicazione di requisiti anagrafici più favorevoli in ragione del numero di figli avuti, che richiama quella impronta risarcitoria nei confronti della donna che poco ha a che fare con il diritto previdenziale di accesso alla pensione, a più di quattro mesi di distanza si rileva come nulla sia stato ancora modificato (anche) in merito alle sole tre categorie la cui appartenenza darebbe luogo all’accesso alla misura pensionistica: caregiver, invalide al 74% e lavoratrici licenziate.
Pure la limitazione alle sole tre tipologie di cui sopra appare eccessivamente penalizzante, anche alla luce del basso impatto di spesa derivante dal ricalcolo contributivo del trattamento pensionistico. Per le lavoratrici autonome peraltro, le fattispecie meritevoli di tutela sarebbero ulteriormente ridotte a due, a causa della implicita esclusione dalla platea delle “lavoratrici licenziate”.
A ben vedere, la novità in termini equitativi contenuta nella nuova disciplina per il pensionamento tramite Opzione donna, è data dal superamento della risalente discriminazione tra il requisito anagrafico richiesto alle lavoratrici autonome (un anno in più) rispetto alle dipendenti, che, nella nuova formulazione normativa, viene superato. Per il resto, a più di quattro mesi dall’entrata in vigore della nuova disciplina, sarà necessario attendere un intervento normativo che renda nuovamente appetibile la misura.
Antonio Licchetta – Responsabile Politiche sociali e Previdenza CNA Nazionale