Al fine di semplificare gli adempimenti ai contribuenti, le norme fiscali attribuiscono ai comportamenti concludenti una loro validità. Ma cosa si intende per comportamento concludente? Qual è la sua definizione in diritto? E che peso ha il comportamento concludente nel panorama fiscale italiano?
In diritto, un comportamento concludente (altrimenti detto anche fatto dimostrativo) è una forma di manifestazione tacita della volontà negoziale. Dal punto di vista “pratico” un comportamento concludente corrisponde ad un contegno che è, per sua natura, incompatibile con una volontà differente da quella che si può dedurre dal fatto stesso.
Il comportamento concludente è, quindi, un comportamento che non costituisce direttamente un mezzo di comunicazione e di espressione, ma che presuppone e realizza una volontà ed indirettamente la manifesta.
Per la legge, quindi, un comportamento concludente è valido a tutti gli effetti. I comportamenti concludenti hanno infatti efficacia giuridica precisa, come se fossero un contratto scritto tra le parti.
Come già detto prima, anche dal punto di vista fiscale, le norme fiscali attribuiscono ai comportamenti concludenti una loro validità. L’art.1 del Decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 442 riconosce che l’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili.
La ratio della norma si sostanzia nella volontà di semplificare gli adempimenti cui i contribuenti sono tenuti, evitando che da omissioni formali, senza nessuna pericolosità fiscale, debbano derivare conseguenze sostanziali importanti per i soggetti passivi.
E così, per l’Agenzia delle Entrate, l’insieme di atti posti concretamente in essere dal contribuente che manifesta inequivocabilmente la scelta per un regime di determinazione del reddito assume piena validità (vedasi recente risposta Agenzia delle Entrate ad interpello n. 378/2021 sul passaggio dal regime ordinario al regime forfetario).
Tuttavia, è sempre necessario che vengano effettuate le prescritte opzioni previste dalle norme fiscali in sede di dichiarazioni annuali. L’opzione per il regime ordinario, ad esempio, avviene tramite comportamento concludente, ma deve, in ogni caso, essere comunicata barrando l’apposito campo della dichiarazione annuale IVA da presentare successivamente alla scelta operata.
Sull’applicazione del comportamento concludente nella scelta del regime contabile, esiste diversa giurisprudenza in merito, anche se non sempre i giudici chiamati in causa sono pervenuti alle medesime conclusioni.
Secondo le sentenze della Corte di Cassazione, n. 8960/1995 e n. 15228/2004, la dichiarazione di opzione deve essere effettuata nei modi e termini di legge e in maniera chiara.
La Corte di Cassazione ha chiarito che il passaggio da un regime agevolato ad un regime ordinario, presuppone che venga effettuata la prescritta dichiarazione di opzione, senza che la stessa possa essere desunta da comportamenti concludenti quali, ad esempio, la presentazione della dichiarazione IVA annuale nei modi e nei termini previsti dal regime ordinario.
Recentemente, invece, la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza 20045 depositata il 24 settembre 2020, in tema di IVA, afferma che l’omessa dichiarazione di opzione per l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario può essere surrogata da comportamenti concludenti, affermando che la scelta di un regime ordinario da parte del contribuente non è necessariamente subordinata a una formale comunicazione all’Amministrazione Finanziaria, essendo sufficiente un comportamento concludente dell’interessato.
Di parere opposto, invece l’ordinanza n. 547 dell’11 gennaio 2022 della Corte di Cassazione che, in ipotesi di omessa dichiarazione dei redditi, afferma che la relativa volontà non può desumersi dal comportamento concludente del contribuente.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN
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