La riforma fiscale si propone di intervenire anche nell’ambito dei costi pluriennali, prevedendo la decorrenza del termine di decadenza per l’accertamento a partire dal periodo di imposta nel quale si è verificato il fatto generatore. Chiariamo meglio l’impatto concreto di questa previsione.
La legge delega di riforma fiscale interviene su un punto qualificante su cui si è tanto discusso tra gli addetti ai lavori stabilendo all’art. 17, comma 1, lett. g) quanto segue: 1) la previsione della decorrenza del termine di decadenza per l’accertamento a partire dal periodo d’imposta nel quale si è verificato il fatto generatore, per i componenti a efficacia pluriennale, e la perdita di esercizio, per evitare un’eccessiva dilatazione di tale termine nonché di quello relativo all’obbligo di conservazione delle scritture contabili e dei supporti documentali, fermi restando i poteri di controllo dell’Amministrazione finanziaria sulla spettanza dei rimborsi eventualmente richiesti.
Con tale previsione si intende modificare la disciplina dei termini di accertamento in tema di imposte sui redditi prevedendo la “decorrenza del termine di decadenza per l’accertamento a partire dal periodo di imposta nel quale si è verificato il fatto generatore”. Il problema trae origine dal fatto che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. SS: UU. del 25 marzo 2021, n. 8500), dirimendo un contrasto giurisprudenziale, hanno sancito che il potere di accertamento che va esercitato entro termini decadenziali riguarda ogni singolo periodo d’imposta, che è espressione di un’obbligazione tributaria autonoma. Da ciò deriva che, nelle ipotesi in cui il fatto fiscalmente rilevante abbia riflesso su più periodi d’imposta, il contribuente è costretto a conservare la documentazione giustificativa (ad esempio delle spese per il recupero edilizio) sino allo spirare del termine di decadenza dell’ultima annualità, quand’anche fossero decorsi i dieci anni. Lo stesso principio vale ma anche per:
- il controllo formale scaturente da spese che danno origine a detrazioni che vanno dilazionate su più anni;
- i crediti di imposta, come ad esempio il credito ricerca e sviluppo, che possono avere una dimensione pluriennale;
- il riporto a nuovo delle perdite di impresa.
Da un punto di vista pratico, la situazione attuale in seguito alla nota sentenza delle Sezioni Unite sopra richiamata, si traduce nelle seguenti implicazioni:
- un fabbricato acquistato nel 2000 che viene ammortizzato al 3% ogni anno, posto che esporrà l’ultima quota di ammortamento (salvo dismissioni) nel 2033, obbligherà il contribuente a conservare la documentazione fino all’anno 2039. Fino a quel momento, infatti, l’Agenzia delle Entrate, qualora in occasione di un controllo ritenesse non deducibile il costo di quel fabbricato, potrebbe recuperare l’ultima quota di ammortamento imputata nel 2033 che soggiace ai termini di decadenza fino al 31 dicembre 2039. Il contribuente sarà tenuto a conservare la documentazione relativa all’acquisto effettuato oltre a dimostrare l’ammissibilità ai fini fiscali delle quote dedotte;
- stessa logica per quanto concerne le dichiarazioni presentate dai contribuenti cd privati che devono conservare la documentazione per le spese pluriennali. Per i bonus edili da ripartire in cinque o dieci, l’Agenzia, a prescindere dalla decadenza dell’anno di imposta nel quale è stata sostenuta la spesa iniziale, potrebbe verificare il requisito dell’inerenza e correttezza di spese sostenute tempo addietro. Per una ristrutturazione edilizia sostenuta nel 2011, con ripartizione della spesa fino al 2020, si obbligherà il contribuente a conservare la documentazione fino al 2025, in quanto l’Agenzia potrà richiedere e contestare la quota imputata fino all’anno 2025 (per accertare il 2020);
- se si tratta di situazioni con riporto illimitato nel tempo (perdite fiscali, eccedenze di interessi, eccedenze di Rol, eccedenze Ace), potrebbe verificarsi la situazione di dover conservare i documenti per un tempo indefinito.
La legge di riforma fiscale intende così superare la necessità di conservare la documentazione per poter dimostrare l’ammissibilità e l’inerenza delle spese pluriennali per un tempo che a seconda dei casi potrebbe arrivare fino ai 15, 20 anni o un termine indefinito. Tale orientamento dovrà essere superato, introducendo una garanzia di carattere temporale per i contribuenti. Si conviene sulla circostanza che un conto è il fatto generatore della fattispecie tributaria, altro conto è la sua ripartizione temporale.
Allo stesso tempo, si renderà necessario appurare se questo avrà o meno impatto sui rapporti pendenti.
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN