Il numero di Società Benefit sta crescendo rapidamente nel nostro Paese confermando così la valenza competitiva di questo modello societario.
Dall’entrata in vigore della Legge n. 208/2015, che ha introdotto in Italia la nuova qualifica aziendale, abbiamo ampiamente superato il numero di 3.000 aziende che hanno acquisito lo status “benefit”, in sede di costituzione o attraverso una modifica statutaria.
In un contesto globale di crescente attenzione all’approccio alla sostenibilità da parte delle catene del valore e del mondo della finanza, lo schema della Società Benefit appare quanto mai calzante e a prova di futuro.
Scopo benefit: come si esprime?
La qualifica di Società Benefit distingue quelle società a fini di lucro che, nell’esercizio di un’attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse.
Si tratta di imprese che acquisiscono uno scopo benefit, accanto a quello tipicamente profit, che deve essere opportunamente perseguito e bilanciato dagli amministratori.
Rispetto a questo, la norma richiama due differenti livelli di impegno da parte dell’impresa:
- Un livello specifico, che si esprime attraverso l’esplicitazione puntuale ed il perseguimento di una o più finalità di beneficio comune. Queste possono tradursi nella generazione di esternalità positive (es. valorizzazione e coinvolgimento del personale, collaborazione e supporto alla comunità di riferimento) o nella riduzione di esternalità negative (minimizzazione degli impatti ambientali, miglioramento dei programmi di salute e sicurezza sul lavoro…) e devono essere precisamente indicate nell’oggetto sociale della Società Benefit tramite apposita modifica statutaria.
Ma quali e quante sono le finalità? La legge non dà alcuna indicazione in proposito e vi è massima discrezionalità da parte dell’impresa nell’individuarle;
- Un livello generale, che riguarda l’approccio complessivo dell’impresa alla sostenibilità. La legge, infatti, riconosce il dovere più ampio, ma concomitante al precedente, di “operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente… nei confronti degli stakeholder.”
Questo impegno può essere dichiarato in statuto, ma è connaturato all’identità di Società Benefit e non deve in alcun caso venir eluso.
La distinzione non è puramente formale ma si collega all’essenza stessa di una Società Benefit. Questa infatti non deve solo stabilire obiettivi specifici calati sulla propria realtà ma, in generale, operare in linea con una più ampia strategia di sostenibilità, misurabile oggettivamente.
Rendicontare l’impatto: obbligo per ogni Società Benefit
Ogni anno la Società Benefit è tenuta alla pubblicazione di una Relazione d’Impatto che illustra agli stakeholder le azioni compiute rispetto a entrambi i livelli in cui si esprime l’impegno benefit, descritti precedentemente:
- per ogni finalità di beneficio comune definita in statuto, l’impresa è obbligata a descriverne il significato, esplicitare l’impegno degli amministratori, i risultati, identificare eventuali cause ostative e definire i propositi per l’esercizio successivo.
Il compito è chiaro e spesso non gravoso, soprattutto se le finalità sono state stabilite ex ante in maniera coerente, razionale e misurabile;
- la Società Benefit deve effettuare una valutazione dell’impatto generato utilizzando uno Standard di Valutazione Esterno (definito dall’Allegato n. 4, L. 208/2015) che ricomprenda le Aree di Valutazione relative a governance d’impresa, lavoratori, altri portatori d’interesse, ambiente (Allegato n. 5, L. 208/2015). Deve, insomma, rendicontare sistematicamente l’approccio generale alla sostenibilità tout court.
Questa seconda parte, mandatoria quanto la prima, viene spesso dimenticata e richiede una più ampia conoscenza sulle prassi di rendicontazione di sostenibilità.
Valutazione d’impatto attraverso uno Standard di Valutazione Esterno
Per valutare il proprio impatto, la Società Benefit deve utilizzare uno Standard di Valutazione Esterno che rispetti i requisiti stabiliti dall’All. 4 alla L. 208/2015. Sulla base di questi, lo Standard dev’essere:
- esauriente e articolato nel misurare l’impatto della società e delle sue azioni nei confronti degli stakeholder;
- sviluppato da un ente indipendente;
- credibile perché realizzato da un soggetto che ha accesso alle competenze necessarie, attraverso un approccio scientifico e multidisciplinare, con una eventuale consultazione pubblica di supporto;
- trasparente perché le informazioni che lo riguardano sono rese pubbliche, con particolare riferimento ai criteri di misurazione, all’aggiornamento delle metriche, alla governance e indipendenza finanziaria dell’ente sviluppatore.
La norma chiaramente allude a standard di misurazione della sostenibilità che si sono affermati nel tempo, anche se non riconducibili sistematicamente al fenomeno delle Società Benefit.
Ad eccezione del più noto B-Impact Assessment (framework per l’ottenimento della certificazione B-Corp), è certamente possibile utilizzare il GRI – Global Reporting Initiative (riferimento internazionale per la rendicontazione di sostenibilità), così come i nuovi standard ESRS – European Sustainability Reporting Standards. Sono ben accetti anche strumenti di rating ESG – alcuni ormai ampiamente diffusi a livello globale – purché coerenti con i requisiti previsti dalla norma.
C’è ancora molto spazio per la sperimentazione e soprattutto si apre un vivace confronto di mercato fra gli strumenti che sapranno dimostrare la propria compliance e, allo stesso tempo, efficienza e semplicità nel valutare l’impatto sostenibile d’impresa.
Andrea De Colle – Sustainability & CSR Project Manager Associazione Animaimpresa