La risposta interlocutoria, non definitiva, a una istanza di interpello corrisponde al silenzio assenso. E’ questa la posizione assunta dalla C.G.T. I di Oristano 25 marzo 2024 n. 46/2/24.
Nel caso di specie una società, che riteneva di poter usufruire del credito d’imposta del 40% per investimenti effettuati nel Mezzogiorno, aveva presentato istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate ricevendo, tre mesi dopo, una risposta “provvisoria” dall’amministrazione.
L’Ufficio aveva fornito una risposta “non definitiva” in attesa di ricevere un’interpretazione ufficiale del caso specifico dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Ma, visto il silenzio del Ministero, anche l’Agenzia delle Entrate era rimasta nella situazione di incertezza senza mai fornire al contribuente una risposta risolutiva del caso.
La società istante impugnava il silenzio rifiuto ottenendo giustizia in sede di Corte di Giustizia Tributaria.
Secondo i giudici l’art. 11 dello Statuto del Contribuente afferma chiaramente che:
- l’amministrazione deve rispondere alle istanze di interpello entro 90 giorni. Termine che si sospende tra il 1° e il 31 agosto e ogni volta che è obbligatorio chiedere un parere preventivo ad altra amministrazione;
- se il parere non è reso entro sessanta giorni dalla richiesta, deve comunque rispondere all’istanza di interpello;
- la risposta, scritta e motivata, vincola ogni organo dell’amministrazione finanziaria con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente;
- quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione della soluzione prospettata dal contribuente da parte dell’amministrazione.
Secondo la Corte è fuori di discussione che la risposta all’interpello “debba essere necessariamente risolutiva e capace di indirizzare le scelte del contribuente“. L’assenza di un riscontro certo, ufficiale, equivale ad una mancata tempestiva risposta.
In contrasto con l’art. 11 dello Statuto del Contribuente che sancisce un termine perentorio entro il quale fornire una interpretazione definitiva e chiara, proiettando del campo dell’annullabilità “tutti i successivi atti emessi in senso difforme dalla risposta”.
L’amministrazione avrebbe potuto optare per una diversa soluzione: fornire una risposta negativa ma tempestiva al contribuente, accertarsi presso il Ministero competente e, eventualmente in un secondo momento, rettificare la risposta negativa integrandola con nuove motivazioni in favore del contribuente.
Così non è andata e, in base al comma 5 dell’art. 11 dello Statuto del Contribuente, “i successivi atti emessi in contrasto con la soluzione prospettata dal contribuente devono essere considerati illegittimi” e pertanto annullati.
Giovanni Fanni – Centro Studi CGN