L’erede che percepisce un compenso professionale spettante al padre libero professionista deceduto che aveva già chiuso la partita IVA, per assolvere correttamente gli obblighi fiscali deve riaprire la partita IVA del professionista, emettere fattura relativa al compenso incassato ed effettuare tutti gli altri adempimenti relativi.
Il chiarimento proviene dalla risposta n. 118 pubblicata lo scorso 22 aprile 2025 pubblicata sul sito istituzionale dell’Agenzia delle Entrate. Il caso nasce da una prestazione professionale svolta da un professionista nei confronti di una società poi fallita. Il professionista prima di morire, aveva cessato l’attività professionale e presentato la chiusura della partita IVA e della propria posizione fiscale.
In un primo momento, il curatore fallimentare aveva comunicato all’erede che, per la certificazione del pagamento, avrebbe emesso un’autofattura trattenendo l’IVA e riversando l’imposta sul valore aggiunto al fisco.
A causa delle recenti modifiche intervenute sull’articolo 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/1997, per le quali non è più richiesta l’emissione di un’autofattura, la curatela fallimentare ha chiesto all’erede del professionista deceduto di emettere una fattura nei confronti della società fallita. Solo dopo avere ricevuto la fattura da parte dell’erede, la curatela fallimentare avrebbe versato la relativa imposta sul valore aggiunto.
Ciò ha generato dubbi su quale fosse la corretta condotta per assolvere gli obblighi relativi al compenso incassato dall’erede. Il dubbio è se fosse stato necessario riaprire la partita IVA del padre defunto o aprirne una a suo nome per il rilascio della fattura richiesta o ancora che debba essere il curatore fallimentare a dovere emettere autofattura come prevede la risposta 52 del 2020 dell’Agenzia delle Entrate.
Per l’Agenzia delle Entrate, la cessazione dell’attività professionale e la chiusura della partita IVA non coincidono con l’interruzione delle prestazioni professionali. Come si evince dalla circolare n. 11/2007 e dalla risoluzione n. 232/2009, la partita IVA non può essere chiusa fino a quando tutte le operazioni attive e passive non sono state completate.
Inoltre, come conferma anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8059 del 21 aprile 2016, il compenso ricevuto è imponibile anche se percepito dopo la cessazione dell’attività, dal momento che il fatto generatore dell’imposta sul valore aggiunto e l’insorgenza della correlativa imponibilità vanno identificati con la materiale esecuzione della prestazione professionale. Per il fisco, la stessa si ritiene conclusa solo con l’incasso.
Nel caso di decesso, la normativa prevede che gli obblighi fiscali relativi alle operazioni prestate dal professionista prima della sua morte possano essere adempiuti dagli eredi. In particolare, se il professionista non ha ancora emesso le fatture sui compensi maturati, sono gli eredi che devono provvedere in nome del defunto.
La risoluzione n. 34/E dell’11 marzo 2019 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito, inoltre, che in presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita IVA del professionista defunto sino a quando non viene incassata l’ultima parcella, salvo anticipare la fatturazione.
Se il professionista defunto non ha emesso la fattura, colui che agisce per conto del prestatore, l’erede in questo caso, ha l’obbligo di emettere la fattura riaprendo a posteriori una nuova partita IVA e porre in essere i successivi adempimenti.
Nel caso in cui gli eredi non si attivano, con la riformulazione dell’articolo 6, comma 8, del D.Lgs n. 471/1997 non occorrerà più emettere autofattura, ma il committente dovrà comunicare l’irregolarità all’Agenzia delle Entrate entro il termine di 90 giorni dal momento in cui avrebbe dovuto essere emessa regolare fattura. A tale scopo, dalla data del 1° aprile 2025 è stato istituito il codice TD29 utilizzabile nel sistema di interscambio.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN