La sostenibilità sociale: il vantaggio competitivo delle aziende evolute

Nella letteratura economica il concetto di sostenibilità, nella quasi totalità dei casi, è associato alla dimensione ambientale, eppure, proprio in un momento storico caratterizzato da crisi sistemiche, complessità crescenti e interrelate, e da una progressiva ridefinizione del ruolo dell’Impresa all’interno della società, la sostenibilità si configura oggi come un fattore strategico fondamentale, il quale non soltanto genera valore, ma, al contempo, costituisce un autentico vantaggio competitivo per le aziende maggiormente lungimiranti.

Risulterà evidente come la sostenibilità sociale non si limiti alla filantropia, né si esaurisca nella compliance normativa. L’implicazione centrale si concretizza in una vera e propria riflessione ampia sul modello di business adottato.

Sarà fondamentale considerare il proprio posizionamento di mercato, anche sotto il profilo delle relazioni e dinamiche interne: si perverrà dunque ad una definizione di successo che non misura solo e soltanto i margini di profitto, ma anche la qualità delle relazioni costruite con dipendenti, clienti, comunità locali e tutti gli stakeholder coinvolti.

Le imprese che hanno già interiorizzato il tema della sostenibilità hanno ormai attuato il concetto secondo cui la capacità dell’azienda di attirare talenti e risorse chiave non si estrinseca nella mera possibilità di offrire condizioni retributive competitive. Essa corrisponde, invece, alla creazione di un contesto organizzativo e lavorativo basato fondamentalmente sulla trasparenza, sul riconoscimento del valore individuale e sulla possibilità per ciascun collaboratore di giocare un ruolo attivo e fondamentale in una visione condivisa di lungo periodo.

Contemporaneamente, si delinea con chiarezza sempre maggiore l’evidenza per cui non sono le strategie di comunicazione attuate dall’impresa a costituire la fiducia dei propri clienti e consumatori di riferimento.

Infatti, il fattore critico in questi termini corrisponde all’attuazione di quella che possiamo definire una condotta aziendale coerente con la propria visione e con i propri valori di integrità e responsabilità, un’attitudine continuativa ma non per questo radicata e non adattabile alla mutevolezza ed alle necessità proprie del contesto sociale.

Tale prospettiva, consente al management di realizzare l’innovazione in senso ampio ed autentico: un’effettiva evoluzione tanto più efficace quanto più l’ambiente circostante avrà sviluppato le caratteristiche dell’apertura culturale, del pluralismo e della valorizzazione delle differenze, del confronto tra prospettive eterogenee da intendersi come risorsa e non come fattore di instabilità.

Ad oggi, uno tra gli aspetti probabilmente meno discussi e, allo stesso tempo, maggiormente rilevanti in termini di sostenibilità sociale è sicuramente il concetto di impresa rigenerativa.

In letteratura, si teorizza una realtà aziendale capace di produrre valore e di restituirlo al contesto all’interno del quale opera, sotto forma di risorse e di capitale – umano, culturale e relazionale.

Quando un’impresa investe nella formazione continua dei propri collaboratori, adotta politiche di conciliazione tra vita privata e professionale (la nota definizione di work-life balance), quando si impegna a garantire pari opportunità ed inoltre a contrastare e ridurre ogni forma di discriminazione, ecco che quell’impresa non sta solamente agendo secondo principi virtuosi.

L’imprenditore che opera applicando tale pattern sta concretamente alimentando la rigeneratività dell’azienda: in altri termini, migliorerà notevolmente la qualità del proprio output, e, di conseguenza, andrà a ridurre sensibilmente i costi legati al turnover, al malessere organizzativo, ed ancora ai fisiologici conflitti interni.

In un contesto economico nel quale la caratteristica principale del mercato è, ad oggi, la volatilità – con un indice VIX che ha recentissimamente superato il valore di 57 punti – risulterà evidente come il vantaggio di tipo tecnologico sia sempre più soggetto ad obsolescenza e perciò si assottigli rapidamente.

Le realtà aziendali che optano per l’investimento in quello che si definisce tipicamente come capitale umano affrontano più efficacemente le crisi. Tali organizzazioni, infatti, alimentano la propria capacità di innovare in maniera organica e onnicomprensiva il proprio modello di business, e, al contempo, di delineare sempre di più un’identità coerente – riconoscibile e salda anche nei momenti più complessi della vita dell’impresa. La sostenibilità sociale per questo non è da considerarsi un lusso, appannaggio delle sole aziende che operano nell’ambito dei diritti civili: è una condizione necessaria perché la propria realtà aziendale non scompaia dal mercato.

Dunque, si delinea una situazione per cui la competitività dell’impresa si gioca sulla capacità di adattamento, e la condivisione valoriale interna diviene in buona sostanza un asset tattico fondamentale.

Strategicamente, infatti, l’evidenza empirica è lampante, poiché si osserva come le imprese che attuano una tipologia di governance inclusiva in senso ampio, e che perciò scelgono di dare valore alle diversità, sviluppano conseguentemente l’attitudine di costruire relazioni fondate sulla trasparenza e sull’etica nei confronti dei propri stakeholder. L’effetto sulla performance di lungo termine non si estrinsecherà solamente sotto il profilo reputazionale, ma anche, ovviamente, in termini di fatturato.

In questo quadro trasformativo, diviene certamente interessante osservare come la sostenibilità sociale possa essere analizzata altresì secondo i principi cardini della c.d. Blue Ocean Strategy.

Come noto, si tratta di una teoria d’impresa elaborata dagli accademici Kim e Mauborgne nel 2005.  Tale interpretazione delle dinamiche di mercato considera come le organizzazioni maggiormente di successo scelgano di non competere nel contesto della concorrenza in cui agiscono tutte le altre realtà afferenti al medesimo settore (il “red ocean”). Le imprese possono infatti decidere di creare nicchie di mercato – “blue ocean” – alle quali, almeno inizialmente, non appartengono classicamente, ed in cui la competizione assume delle dinamiche differenti.

Applicando questa prospettiva, la sostenibilità contemporaneamente assume la centralità propria di un valore e dovere etico, ma anche e soprattutto di un elemento distintivo, un fattore critico che consente all’impresa di approdare in un nuovo oceano di mercato.

La capacità dell’azienda di strutturare mansioni dignitose, e, allo stesso tempo, di instaurare relazioni autentiche con il proprio contesto di riferimento, di porre la persona al centro, e, dunque, implementare il benessere collettivo nel core business consente all’impresa stessa di differenziarsi radicalmente, intercettare necessità articolate e non totalmente espresse, approdare all’interno di nuovi segmenti di mercato. L’output di tale sviluppo sarà certamente la costruzione di una proposta di valore non facilmente replicabile o imitabile. La Blue Ocean Strategy applicata alla sostenibilità d’impresa consente alla stessa di sviluppare innovazione come leva di posizionamento e conseguente vantaggio competitivo, ancora una volta, di crescita.

Da ultimo, la riflessione centrale che si rende necessaria – oggi più che mai – per le aziende che intendono perseguire il successo in senso ampio deve focalizzarsi sulla centralità della sostenibilità d’impresa, che non è una moda e non è un’opzione.

Il contesto di mercato all’interno del quale le organizzazioni operano – con particolare attenzione per le nuove generazioni – sta sviluppando crescenti aspettative sotto il profilo appena delineato. In questi termini, clienti e stakeholder richiedono (talvolta, pretendono) che le imprese si facciano carico di una responsabilità reale, prendendo posizione in una maniera trasparente ed autentica. Tale necessità si estrinseca, ovviamente, nei criteri ESG, i quali si configurano ormai come un requisito di centrale rilevanza per i mercati finanziari. Per questo, l’obiettivo ideale perseguito dalle realtà aziendali sostenibili è la creazione di un contesto di valore e di collaborazione etica.

In definitiva, la sostenibilità sociale non è una nuova frontiera economica, ma, di fatto, un principio dell’economia classica: nessuna impresa può prosperare in un contesto che si sta deteriorando. Perché il profitto conseguito sia legittimo, deve generare valore anche all’esterno.

Le aziende che sapranno concretizzare questo ideale non solo resisteranno al cambiamento: lo guideranno.

 

Anita Raggiotto – Centro Studi CGN