La determinazione della durata del periodo di prova nel contratto a tempo determinato ha sempre rappresentato una questione controversa nel mondo del diritto del lavoro, stante la mancanza di disposizioni chiare in merito.
Con la disposizione introdotta dal Decreto Trasparenza, in vigore dal 13 agosto 2022, veniva definito il criterio della proporzionalità della durata del periodo di prova rispetto alla durata del contratto stipulato e alle mansioni da svolgere.
Tuttavia, mancavano indicazioni circa le modalità con cui applicare tale criterio.
L’articolo 7, comma 2 del D.Lgs. n. 104/2022 prevedeva espressamente che “Nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego. In caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova”.
In mancanza di una specifica previsione per i contratti a tempo determinato da parte del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro, il criterio maggiormente adottato ai fini della determinazione della durata del periodo di prova consisteva nel prendere a riferimento il periodo di prova stabilito dal CCNL per il livello di inquadramento del lavoratore da assumere. In questo caso, il periodo di prova si considerava in misura piena, così come previsto per i contratti a tempo indeterminato, per un contratto a termine della durata di 12 mesi.
In caso di minor durata del contratto a tempo determinato inizialmente stipulato, il periodo di prova avrebbe dovuto essere riproporzionato di conseguenza.
A seguito delle modifiche introdotte dalla Legge 13 dicembre 2024, n. 203 (cd. Collegato Lavoro), al comma 2 dell’articolo 7 D.Lgs. n. 104/2022 viene aggiunta la seguente disposizione “Fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi”.
Il dettato normativo introduce, dunque, un criterio per determinare la durata del periodo di prova nei contratti a tempo determinato. La norma trova applicazione per i contratti di lavoro instaurati a far data dall’entrata in vigore della legge, ossia dal 12 gennaio 2025.
Nel dettaglio, il Legislatore ha quantificato il periodo di prova fissandone, in linea generale, la durata in 1 giorno di effettiva prestazione ogni 15 di calendario a partire dal giorno di inizio del rapporto, ferma restando la possibilità per la contrattazione collettiva di introdurre disposizioni più favorevoli.
Viene previsto, inoltre, un limite minimo per la prova pari a 2 giorni di effettiva prestazione e dei limiti massimi, differenziati, per i rapporti a termine di durata non superiore a 6 mesi e per quelli compresi fra i 6 e i 12 mesi, pari rispettivamente a 15 e 30 giorni di lavoro effettivo.
In merito alla novità introdotta, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito alcuni chiarimenti e interpretazioni con la recente Circolare del 27 marzo 2025, n. 6.
Il Ministero del Lavoro stabilisce che i limiti massimi non possono essere derogati neppure dalla contrattazione collettiva, atteso che l’autonomia contrattuale non può, per principio generale, introdurre una disciplina peggiorativa rispetto a quella legale.
Inoltre, nel caso di contratti di lavoro a termine di durata superiore a 12 mesi, fatte salve le più favorevoli previsioni della contrattazione collettiva, il periodo di prova sarà calcolato moltiplicando un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario, anche oltre la durata massima di 30 giorni, stabilita per contratti a termine di durata inferiore a 12 mesi.
Il Legislatore, nell’ammettere eventuali previsioni più favorevoli contenute nei contratti collettivi, non individua esplicitamente il livello della contrattazione richiesto. In proposito, si ritiene che si debba aver riguardo al contratto collettivo applicato dal datore di lavoro.
Per quanto riguarda i criteri in base ai quali valutare quali disposizioni contrattuali siano più favorevoli rispetto
alla previsione normativa, vi è da considerare che generalmente, in applicazione del principio del favor praestatoris, per il quale in ambito lavoristico è da preferire l’interpretazione che accorda una maggiore tutela al lavoratore – viene considerata più favorevole per il lavoratore una minore estensione del periodo di prova, a causa della precarietà che lo stesso comporta per il lavoratore.
Francesca Baciliero – Centro Studi CGN