Breve excursus sul contratto abitativo ad uso turistico che prevede una durata massima di 30 giorni e non ha l’obbligo di registrazione (se non in caso d’uso). Come deve essere stipulato? In quali casi? Perché è diverso dai contratti stipulati per locazioni di immobili adibiti ad attività di interesse turistico?
Comincia l’estate e cominciano ad avvicinarsi le vacanze. E con le vacanze si riempiono le località turistiche che vedono i propri immobili occupati e, quindi, locati, per un brevissimo periodo di tempo.
Il contratto abitativo di natura turistica, previsto dalla Legge speciale n. 431 del 1998, all’articolo 1, comma 2, lettera c), si stipula per una durata mai superiore ai 30 giorni e per soddisfare un’esigenza transitoria “di tipo turistico” del conduttore.
L’esigenza transitoria “di tipo turistico” deve essere espressamente dichiarata al locatore nel momento della stipula del contratto ed implica l’impossibilità, o meglio, la non necessità di trasferire la propria residenza/domicilio nel locale affittato ed occupato per il periodo concordato.
La ragione che può spingere il conduttore a prendere in locazione un immobile per un tempo così limitato, è da ricondursi, dicevamo, a “motivi di turismo”, alla classica villeggiatura o alla gita di più giorni. Si tratta quindi di un motivo di piacere, non di lavoro né di studio. Se, infatti, il motivo dello spostamento fosse il lavoro o lo studio, sarebbe opportuno stipulare un’altra tipologia di contratto, nello specifico un contratto abitativo di natura transitoria previsto sempre dalla Legge speciale 431/1998, all’articolo 5: esso prevede una durata minima superiore ai 30 giorni e obbligatoriamente l’indicazione, nel testo del contratto, della specifica esigenza temporanea che il soggetto locatario vuole soddisfare.
Quindi, la natura di contratto abitativo per finalità turistiche è una volontà che va manifestata dalle parti all’atto della stipula del contratto e il conduttore deve dimostrare le sue reali esigenze, motivandole per iscritto.
Infatti, una stipula di contratto turistico simulato volto a sfuggire agli obblighi normativi (dalla registrazione, alla forma cartacea, ecc.) farà ricondurre il medesimo contratto alla forma libera (4+4), come previsto dall’articolo 2, comma 1, Legge 431/1998.
In aggiunta a ciò, la giurisprudenza consiglia quanto segue:
- il motivo di carattere turistico deve essere presente nel contratto;
- l’immobile oggetto della locazione, nella sua struttura e composizione dei locali, deve avere una location adatta, cioè una collocazione territoriale, una posizione, tale da ritenere che abbia una funzione turistica.
Si evidenzia, ai fini puramente fiscali, che è ammessa l’opzione per la cedolare secca da esprimersi in sede di dichiarazione dei redditi, non essendo obbligatoria la registrazione del contratto (salvo il caso d’suo).
Sottolineiamo, infine, che il contratto di locazione con finalità turistiche previsto dall’articolo 1, della Legge 431/1998 è diverso dai contratti stipulati per locazioni di immobili adibiti ad attività di interesse turistico, ai sensi dell’articolo 27, Legge 392/1978.
Precisamente, l’articolo 27 appartiene al Capo II della Legge 392/1978 e mira a regolare le locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, rifacendosi al cosiddetto “Codice del turismo” cioè al Decreto Legge n.79/2011.
Ciò che differenzia i due contratti è espresso nell’articolo 27: “La durata delle locazioni non può essere inferiore a 6 anni (9 anni se si tratta di albergo) se gli immobili sono adibiti ad una delle seguenti attività: industriali, commerciali, artigianali, e di interesse turistico”. Rispetto alla Legge 431/1998 la durata è decisamente diversa. Inoltre, il riferimento a locazioni ed attività di tipo turistico-imprenditoriale è evidente.
Giacomo Forato – Centro Studi CGN