Perdite su crediti: deducibilità anche per mantenere buoni rapporti con debitore

Importante ordinanza della Corte di Cassazione riguardo alle perdite su crediti deducibili dal reddito d’impresa. Le imprese potranno dedurre dette perdite anche se non è stata provata l’irrecuperabilità dei crediti. Chiariamo meglio quali sono le motivazioni che hanno condotto la Suprema Corte a questa conclusione.

Nell’ordinanza n. 10256 del 2013, è stato affermato il principio secondo cui “le perdite su crediti sono deducibili, se documentate con certezza e precisione, anche nel caso di rinuncia volontaria finalizzata a mantenere buoni rapporti con l’impresa debitrice in vista di future di commesse di lavori, perché si tratta di scelte imprenditoriali inserite nella complessiva strategia aziendale, che rispondono a criteri di ragionevolezza ed economicità”.

Trattandosi di atti di tipo dispositivo e non di tipo valutativo, la rinuncia al credito presenta i medesimi aspetti di quelli riguardanti la cessione del credito.

In merito deve ricordarsi, infatti, che secondo la Suprema Corte e la consolidata interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, in caso di cessione dei crediti pro soluto, (quando il cedente risponde soltanto dell’esistenza del credito ma non dell’inadempienza del debitore), per la deducibilità delle relative perdite, oltre a documentare che le stesse risultino definitive ai fini civilistici, è necessario che il contribuente documenti, mediante elementi certi e precisi, che le stesse si erano verificate al momento della cessione.

In altre parole, secondo gli Ermellini, le perdite non sono deducibili in presenza di comportamenti antieconomici delle imprese, come nel caso di cessione di una smisurata somma di crediti a un prezzo simbolico, e in assenza dell’esperimento di tentativi di esazione prima della cessione.

Contrariamente a quanto finora affermato, la Cassazione, nell’ordinanza in esame, ha sancito che il principio di economicità gioca a favore dei contribuenti, che possono dedurre le perdite dimostrando che derivano da scelte effettuate in base al canone della convenienza.

In altri termini, la Suprema Corte ha affermato che spetta la deducibilità dei crediti anche nel caso in cui l’impresa vi abbia rinunciato non per la certezza della loro irrecuperabilità ma per “la convenienza economica di mantenere buoni rapporti con le società debitrici in vista di future occasioni di commesse di lavori” purché tale rinuncia sia il frutto di “scelte imprenditoriali inserite in una complessiva strategia aziendale rispondente a criteri di ragionevolezza ed economicità”.

Massimo D’Amico – Centro Studi CGN