Quello delle false fatturazioni è un argomento alquanto delicato e spinoso, che ha visto succedersi nel tempo tantissimi rilievi e controversie, nonché una giurisprudenza non sempre univoca e conforme. Gli interrogativi sono diversi: come è possibile che l’imprenditore non si renda conto che sta contabilizzando una fattura falsa? Chi ha l’onere di dimostrare, in sede di accertamento, che l’operazione rappresentata dalla fattura non è mai stata posta in essere? Quali sono le conseguenze? Abbiamo preparato per voi un piccolo inquadramento del tema.
Sempre più spesso, in sede di accertamento viene contestato l’utilizzo di fatture false, che fanno cioè riferimento, secondo i verificatori, ad operazioni o a soggetti inesistenti. Le fatture, quindi, si dicono inesistenti:
- sul piano oggettivo, quando si riferiscono alla cessione di un bene o alla prestazione di un servizio in realtà mai avvenuta o avvenuta solo in parte;
- sul piano soggettivo, quando si riferiscono alla cessione di un bene o alla prestazione di un servizio realmente avvenuta, ma l’emittente la fattura non è il soggetto che ha effettivamente effettuato l’operazione, ma un terzo soggetto, estraneo all’operazione stessa.
Nel primo caso l’Amministrazione Finanziaria contesta sia la detrazione dell’IVA che la deduzione del costo da parte dell’acquirente. Se però i beni fittiziamente acquistati vengono altrettanto fittiziamente rivenduti, si assiste ad una “neutralizzazione” dei ricavi fino all’ammontare dei costi ritenuti indeducibili (art.8 del DL 16/2012: in sede di accertamento, i componenti positivi direttamente afferenti costi e spese non sostenuti, devono essere decurtati dal totale dei ricavi dichiarati dal contribuente, nella misura in cui i falsi costi non sono stati ammessi in detrazione). Nelle operazioni oggettivamente inesistenti è indubbia la partecipazione dell’acquirente alla frode: di norma non è possibile che un imprenditore riceva dei documenti e ne deduca gli importi senza aver comprato, di fatto, nulla.
La seconda fattispecie è abbastanza frequente e spesso nasconde la rivendita di merce acquistata “in nero”. In questo caso, infatti, la giacenza fisica di magazzino è ovviamente superiore rispetto la giacenza rilevabile dai registri di carico e scarico ed è pertanto necessario “bilanciare” tali giacenze con una falsa fattura di acquisto emessa da parte di un terzo soggetto compiacente.
Nel ramo delle prestazioni di servizi, il caso più frequente è rappresentato da fornitori che emettono fatture, ma non sono in regola con gli adempimenti fiscali: per esempio, recentemente sono state rilevate nel settore edile prestazioni rese da soggetti titolari di partita IVA che emettono fattura ma omettono tutti gli adempimenti fiscali. L’amministrazione ritiene le fatture emesse soggettivamente inesistenti e contesta la detrazione dell’IVA da parte dell’acquirente (il quale però non conosce la posizione fiscale del proprio fornitore e non trae alcun beneficio dalla frode descritta).
Si possono riscontrare anche casi molto più semplici, casi in cui l’imprenditore non è consapevole del fatto di aver ricevuto una fattura falsa: per gli acquisti che si fanno su Internet, per esempio, come si può essere sicuri che il soggetto emittente la fattura sia anche il soggetto cedente?
E’ evidente che la questione della consapevolezza o meno dell’imprenditore di aver dedotto costi e detratto IVA a fronte di fatture soggettivamente inesistenti non è di poco conto, ed è infatti anche per questo motivo che le sentenze di Cassazione si sono succedute con esiti a volte discordanti.
Difficile individuare con certezza chi ha l’onere della prova. In linea generale e secondo il più recente orientamento della Cassazione, si può anche in questo caso operare un distinguo tra fatture oggettivamente inesistenti e fatture soggettivamente inesistenti:
- nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, deve essere l’Amministrazione Finanziaria a provare l’inesistenza delle fatture, quando fornisce elementi oggettivi che dimostrino in modo certo e diretto che l’operazione contestata non è mai avvenuta (sentenza n. 17959 del 24 luglio 2013);
- nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, spetta al contribuente che ha detratto l’IVA fornire la prova contraria che il cedente/prestatore non è un soggetto fittiziamente interposto e che l’operazione è stata realmente conclusa con esso (sentenza n. 16857 del 5 luglio 2013).
Patrizia Tomietto – Centro Studi CGN