La disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative a progetto è al centro di un costante labor limae legislativo. In questo articolo chiariamo qual è la particolare disciplina riservata all’attività di vendita diretta di beni e servizi realizzata attraverso call-center outbound.
Sappiamo che la definizione di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è indicata all’art. 61, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003, che è stato a sua volta modificato da una serie di interventi legislativi, riassunti nell’ordine, in:
- art. 1, comma 23, lett. a), della L. n. 92/2012;
- art. 24-bis, comma 7, del D.L. n. 83/2012;
- da ultimo, art. 7, comma 2, lett. c), D.L. n. 76/2013 (noto come “Decreto Lavoro”, convertito con L. n. 99/2013).
Quindi, nell’attuale versione del comma 1 dell’art. 61, è stabilito che “Ferma restando la disciplina degli agenti e rappresentanti di commercio, nonché delle attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call-center “outbound” per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore […]”.
Definizioni
Già dalla definizione appena esposta, emerge la particolare disciplina riservata all’attività di vendita diretta (o realizzata per un committente terzo, ndr) di beni e di servizi realizzata attraverso call-center outbound, che, come ricorda il Ministero del Lavoro con Circ. n. 14/2013, ha trovato una sua fonte nella prassi amministrativa e non di legge.
Infatti, già la Circ. Min. Lav. n. 17/2006 aveva definito outbound le campagne
- “nell’ambito delle quali il compito assegnato al collaboratore è quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l’utenza di un prodotto o servizio riconducibile ad un singolo committente”.
Nelle attività inbound, invece,
- “l’operatore non gestisce […] la propria attività, né può in alcun modo pianificarla giacché la stessa consiste prevalentemente nel rispondere alle chiamate dell’utenza, limitandosi a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie psicofisiche per un dato periodo di tempo”.
Autonomia della prestazione
Le attività outbound devono essere caratterizzate dall’autonomia della prestazione. Nella stessa circolare del 2006 il Ministero ha ritenuto che il collaboratore a progetto cui è assegnato l’incarico di compiere le operazioni telefoniche può essere considerato autonomo alla condizione essenziale che possa
- determinare senza necessità di preventiva autorizzazione o successiva giustificazione, unilateralmente e discrezionalmente, la quantità di prestazione da eseguire e la collocazione temporale della stessa.
Per apprezzare il carattere della necessaria autonomia è richiesto al personale ispettivo di
- verificare l’esistenza di postazioni di lavoro attrezzate con appositi dispositivi che consentono al collaboratore di autodeterminare il ritmo di lavoro
il collaboratore, inoltre,
- non può essere soggetto a vincoli di orari, pur se all’interno di fasce orarie prestabilite. Quindi, pur rispettando le forme di coordinamento (di cui il Ministero da una esemplificazione) anche temporale, concordate, il collaboratore deve poter decidere:
- se eseguire la prestazione
- in quali giorni eseguire la prestazione
- a che ora iniziare e terminare la prestazione giornaliera
- se e per quanto tempo sospendere la prestazione giornaliera.
Pertanto, afferma ancora il Ministero nel 2006,
- l’assenza (che deve essere comunicata, ndr) non necessita di essere giustificata e la presenza non può mai essere imposta.
Requisiti ex art. 61, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003: le deroghe
Come visto più sopra, l’attuale art. 61, c.1 del D. Lgs. n. 276/2003 ha riservato una specificità alle “attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call-center outbound per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento”.
Ciò, come affermato dal Ministero del Lavoro con Circ. 14/2013, comporta l’esclusione dall’applicazione dei requisiti richiesti dall’art. 61, comma 1 del D.Lgs. n. 276/2003 per il legittimo ricorso al contratto di collaborazione a progetto, riepilogati di seguito:
- riconduzione ad uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore;
- collegamento ad un determinato risultato finale;
- divieto di riproporre l’oggetto sociale del committente;
- divieto di svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi.
La condizione: il corrispettivo
Tuttavia, per l’operatività della esclusione, il citato comma pone una condizione:
- il contratto di collaborazione per le attività di vendita diretta di beni e di servizi attraverso call-center outbound è consentito a condizione che il corrispettivo sia definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento.
La determinazione del corrispettivo mediante tale criterio assume “una funzione autorizzatoria” del ricorso alla collaborazione a progetto “a prescindere dal requisito della predisposizione di un progetto specifico”.
L’individuazione del corrispettivo sulla base della contrattazione collettiva nazionale di riferimento ha il carattere di norma inderogabile: in caso di sua violazione, il contratto a progetto sarà ritenuto illegittimo.
Tale previsione ha sollevato numerose perplessità in merito a come procedere per la determinazione del corrispettivo del collaboratore in assenza di specifiche previsioni da parte della contrattazione collettiva di riferimento.
Secondo il Ministero, occorre riferirsi al principio contenuto nell’art. 63, comma 2 del D.Lgs. n. 276/2003:
- in assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto.
In assenza di previsioni della contrattazione collettiva, quindi, occorre garantire contrattualmente che il compenso legato alle prestazioni “effettivamente rese dal collaboratore” non sia inferiore alle retribuzioni minime previste dalla contrattazione collettiva per il personale dipendente.
Requisiti ex art. 61, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003: la regola
Poste tali esclusioni e condizioni, il ricorso alle collaborazioni a progetto previste per le attività in discorso devono rispettare gli ulteriori requisiti generalmente previsti per tale tipologia contrattuale. In particolare, il Ministero ha ritenuto che anche nella situazione in discorso troveranno applicazione le disposizioni concernenti:
- la garanzia delle clausole di contratto individuale o di accordo collettivo più favorevoli per il collaboratore a progetto (art. 61, c. 4)
- i requisiti richiesti per la forma del contratto (art. 62), con esclusione della “descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire”
- l’obbligo di riservatezza (art. 64)
- le invenzioni del collaboratore a progetto (art. 65)
- gli altri diritti del collaboratore a progetto (art. 66)
- l’estinzione del contratto ed il preavviso (art. 67)
- l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (art. 69, per i commi 2 e 3).
Stefano Carotti – Centro Studi CGN