Il Garante della Privacy ha formulato il suo parere sul nuovo redditometro e ha vietato all’Agenzia delle Entrate di utilizzare le medie ISTAT nella ricostruzione del reddito dei contribuenti se il Fisco non dispone di evidenze certe. Vediamo quali sono le motivazioni che hanno spinto il Garante a esprimersi in questi termini.
“La media aritmetica di per sé non dice nulla se non è accompagnata da un indice di dispersione dei dati”. È un concetto noto agli studenti di statistica quando affrontano i temi classici della materia. In altri termini: se vogliamo calcolare la media di tre soggetti con un’età di 29, 30 e 31 anni, otteniamo un valore pari a 30 che possiamo ritenere rappresentativo dei tre valori in quanto sono molto vicini al valore medio. Anche il valore medio di tre soggetti con un’età di 1, 15 e 74 anni, porterà ad un valore medio di 30. La differenza di questo valore medio rispetto all’altro sta nel fatto che si tratta di un valore meno rappresentativo in quanto i valori si discostano notevolmente dal valore medio. D’altra parte se prendiamo tre giovanotti di 29, 30 e 31 anni, possiamo ben accettare che uno dei tre possa rappresentare il gruppo. Considerare, invece, un giovane di 30 anni rappresentativo di un gruppo che comprende un neonato, un adolescente e una persona anziana mi sembra abbastanza arduo (e stiamo parlando solo di rappresentare l’età media, senza considerare cultura, preferenze, titolo di studio e altro ancora).
Il ragionamento appena esposto vuole semplificare quello formulato dal Garante per la privacy quando gli è stato chiesto di esprimere un parere sullo strumento del redditometro.
Ha scritto il Garante:
“La scelta di utilizzare a tal fine i dati relativi alla spesa media risultanti dall’indagine annuale ISTAT sui consumi delle famiglie compresa nel Programma statistico nazionale per individuare apoditticamente il contenuto induttivo dell’ammontare di spese frazionate e ricorrenti, di cui non si hanno prove e che i contribuenti non possono e non sono tenuti a documentare, si presta a numerosi rilievi critici in relazione al necessario rispetto dei principi fondamentali in materia di qualità dei dati personali. Ciò, con particolare riferimento all’utilizzo dei dati ISTAT, o comunque di dati presunti, per le voci della tabella A non ancorate ad alcun elemento di spesa per beni o servizi e il relativo mantenimento e, in particolare, alle caratteristiche intrinseche dell’indicatore prescelto per le finalità in esame, e cioè la media aritmetica.”
I dati macroeconomici rivelano che la congiuntura economica negativa degli ultimi anni ha portato ad una notevole disuguaglianza dei redditi tra i contribuenti e di conseguenza dei consumi. L’immagine utilizzata è quella della “Mole Antonelliana”, utile per rappresentare una struttura socio-economica che concentra redditi sempre più consistenti in favore di una parte limitata della popolazione, con forti disparità e disuguaglianze tra territori e classi sociali.
Voler calcolare la media dei consumi dei contribuenti con redditi così differenziati, e di conseguenza con consumi così diversi, è come calcolare l’età media tra un ottuagenario e un neonato, e rappresenta un grave errore metodologico che incide notevolmente sulla qualità dei risultati finali. Il calcolo è tecnicamente possibile, il risultato è matematicamente certo, inutilizzabile risulterà però la sua applicazione.
L’Agenzia delle Entrate, oltre a non chiedere la prevista consulenza del Garante della Privacy, che avrebbe consentito di anticipare e affrontare i punti critici del decreto sul redditometro, ben si è guardata dal rivolgersi all’ISTAT per documentarsi meglio rispetto alla significatività dei dati relativi ai consumi medi. Ci ha pensato il Garante preoccupato della qualità dei dati che deve essere garantita in ogni fase del trattamento, ottenendo risposte che demoliscono da un punto di vista scientifico ogni pretesa da parte dell’Agenzia di utilizzare quei dati in qualsiasi momento del contraddittorio con il contribuente.
Dalle analisi condotte dal Garante con i tecnici dell’ISTAT è emerso che:
- l’unità di rilevazione dei dati ISTAT è rappresentata dalla famiglia. La norma sul redditometro si riferisce al contribuente. Il decreto profila i soggetti attraverso l’individuazione del c.d. lifestage, caratterizzato unicamente dalla tipologia di famiglia e della macro area geografica di residenza, senza distinguere le diverse tipologie di contribuente (ad esempio, operaio, impiegato, libero professionista, ecc.). Sarebbe stato opportuno, quindi, introdurre altri elementi di differenziazione per costruire cluster omogenei;
- le aree geografiche considerate sono vaste e non prendono in considerazione la differenza tra centro e periferia delle città, o comuni di piccole e grandi dimensioni, zone rurali, con oscillazioni fortissime del costo della vita (dall’esame dei dati della Banca d’Italia, ad esempio, emerge che nei centri di oltre 500.000 abitanti il reddito è del 50% superiore rispetto a quello dei centri fino a 20.000);
- la statistica economica insegna che la composizione della spesa varia a seconda dell’ammontare del reddito. In particolare, ad esempio, le spese per i bisogni essenziali (ad esempio, l’alimentazione) diminuiscono con l’aumentare del reddito, mentre aumentano quelle per i beni di lusso. Attribuendo a ciascun contribuente la medesima composizione della spesa attraverso l’utilizzo delle medie ISTAT si determina, con ogni probabilità, un’errata ricostruzione di ciascuna delle voci di spesa considerate dal decreto. Voler attribuire l’acquisto di gioielli per un certo ammontare oppure determinate spese di viaggi, solo perché risultava dai consumi medi, era sembrato curioso. Adesso abbiamo le prove scientifiche!
- un paragrafo intero è dedicato alle “caratteristiche della media” con passaggi che illustrano in maniera chiara la natura dei dati ISTAT e la loro inidoneità ad essere ricondotti a singoli contribuenti, se non con notevoli margini di errori, risultando iniqui in eccesso o in difetto, con argomenti che abbiamo semplificato in apertura del presente articolo.
L’Agenzia delle Entrate ha cercato in tutti i modi di resistere alle argomentazioni formulate dal Garante, sostenendo che si tratta di “dati da utilizzare in maniera residuale”, che avrebbe applicato “i valori più bassi dell’intervallo di confidenza delle suddette medie ISTAT”, fino a considerare tali dati solo un “parametro di riferimento offerto alla valutazione del contribuente nell’ambito del contraddittorio”.
Impietose e severe sono state le risposte del Garante circa l’inutilizzabilità di quei dati ISTAT sui consumi.
I motivi, oltre che di carattere scientifico di cui sopra, sono legati alla tutela della persona che potrebbe vedersi obbligata a far conoscere il proprio stile di vita (viaggi e istruzione per esempio), alla possibile mancanza di documentazione, alla circostanza (clamorosamente sottovalutata) che gli ulteriori dati che l’Agenzia avrebbe richiesto non sono noti e pubblicati, e tra gli argomenti suona come un’ammonizione il passaggio in cui, in nome della salvaguardia dei diritti e della libertà della persona, il garante rammenta che “… in una società democratica, l’ingerenza di una autorità pubblica nella vita privata e familiare dell’individuo, ancorché prevista dalla legge, debba essere necessaria e proporzionata”.
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN