Al chiamato all’eredità è data la possibilità di scegliere se accettare l’eredità e diventare erede a tutti gli effetti o rinunciare all’eredità medesima, manifestando la volontà di non volerla accettare. Vediamo come effettuare la rinuncia all’eredità, entro quali limiti temporali e a quali condizioni.
Generalmente si rinuncia all’eredità quando questa è oberata da debiti e pertanto diventa meno problematico rinunciare tout court piuttosto che accettare con beneficio d’inventario.
L’art. 519 e seguenti del Codice Civile regolano la rinuncia all’eredità. La volontà di rinunciare all’eredità deve essere manifestata dal chiamato all’eredità esclusivamente mediante una dichiarazione ricevuta da un notaio o dinanzi al Cancelliere del Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione; la dichiarazione verrà poi inserita nel Registro delle Successioni in modo tale che i terzi ne possano venire a conoscenza.
Non è possibile rinunciare all’eredità anteriormente all’apertura della successione, pena nullità della dichiarazione stessa.
La rinuncia:
- non può essere né condizionata, né sottoposta a termine;
- è sempre e solo considerata totale, cioè fatta con riferimento all’intera eredità; questo significa, in altre parole, che non si può decidere di rinunciare solo ad una parte dell’eredità o solo ad alcuni beni ricompresi in asse ereditario;
- non è possibile da parte di colui che rinuncia all’eredità rinunciare a favore dell’uno e dell’altro coerede.
Ecco alcuni esempi di casistiche inammissibili:
- caso in cui Tizio dichiari di accettare l’eredità a condizione di non pagare i debiti presenti nel patrimonio del de cuius;
- caso in cui Caio voglia accettare l’eredità da un dato termine (es. solo dopo tre anni dall’apertura della dichiarazione di successione);
- caso di Caia che dichiara di accettare l’eredità limitatamente agli immobili di proprietà del defunto.
Per espressa previsione di legge (art. 521 C.C.), ricordiamo che il chiamato all’eredità che rinuncia al patrimonio ereditario è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato. Pertanto se il chiamato all’eredità rinuncia e ha discendenti legittimi questi gli subentrano di diritto e acquisiscono la quota del rinunciatario; al contrario, se il rinunciatario non ha discendenti, la sua quota andrà ad accrescere quella dei restanti coeredi che invece accettano l’eredità.
Ai sensi dell’art. 525 C.C., il chiamato all’eredità, che vi abbia rinunciato, ha ancora la possibilità di accettare l’eredità medesima fino a che non si sia prescritto il diritto di accettarla. La revoca della rinuncia all’eredità, tuttavia, non deve comportare alcun pregiudizio alle ragioni acquistate da terzi sui beni che sono ricompresi nell’asse ereditario, potendo avvenire solo se l’eredità stessa non sia già stata acquistata da un altro dei chiamati.
Se la dichiarazione di rinuncia è effetto di dolo o violenza, il rinunciante può impugnare la suddetta dichiarazione. Si ha dolo, infatti, quando il chiamato è stato indotto a rinunciare mediante raggiri e inganni, mentre si ha violenza quando il chiamato è stato costretto a rinunciare a causa di minaccia di un male ingiusto e notevole nei suoi confronti o nei confronti di una persona a lui vicina.
Nota sul coniuge superstite che rinuncia all’eredità
Si ricorda che il diritto d’abitazione (art. 540 C.C.) sulla casa adibita ad abitazione familiare si “acquista” in capo al coniuge superstite al momento dell’apertura della successione senza bisogno di accettazione (art. 649 C.C.). Pertanto la rinuncia non fa venir meno tale diritto.
In relazione all’eventuale richiesta da parte del coniuge superstite dell’agevolazione prima casa, l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 29/E del 25 febbraio 2005 ha affermato che il coniuge superstite può richiedere l’agevolazione prima casa, sempre che sia in possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi, anche se rinuncia all’eredità.
Lauretta Mauro – Centro Studi CGN