Cosa si intende per retribuzione? Quali sono gli elementi che la compongono? Quali sono le caratteristiche del trattamento accessorio “superminimo”? Può essere sospesa l’erogazione di trattamenti retributivi accessori, come i superminimi? Ecco la risposta.
In materia di retribuzione, l’art. 36 della Costituzione stabilisce che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e in ogni caso sufficiente a garantire a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
La legge non reca una definizione esplicita di retribuzione; anche l’art. 2094 c.c., infatti, definisce il lavoratore subordinato, ma non dà una definizione di retribuzione:
“È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
In aggiunta, l’art. 2099 c.c. prevede che “La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere corrisposta nella misura determinata dalle norme corporative, con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito. In mancanza di norme corporative o di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice, tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali. Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura”.
In ogni caso, in via generale, sappiamo che per retribuzione si intende il corrispettivo della prestazione fornita dal lavoratore subordinato.
Secondo l’interpretazione giurisprudenziale, la retribuzione è considerata tutto quanto il lavoratore riceve dal datore di lavoro in cambio della sua prestazione e a causa della sua personale soggezione nel rapporto.
L’art. 2103 c.c., disponendo il principio di “irriducibilità della retribuzione” pone un importante strumento di garanzia prevedendo, infatti, che “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione […]. Ogni patto contrario è nullo” .
La retribuzione complessiva del lavoratore è composta da un insieme di elementi stabiliti dalla legge, dai contratti collettivi ai vari livelli (accordi interconfederali, contratti di categoria, accordi integrativi territoriali, accordi aziendali), dall’accordo individuale fra datore di lavoro e lavoratore e, infine, di compensi erogati unilateralmente dal datore di lavoro.
Tali elementi possono essere distinti in due gruppi:
- elementi essenziali o di base (minimo contrattuale, indennità di contingenza, e.d.r., scatti di anzianità, etc…);
- elementi accessori, tra cui, oltre a specifiche indennità, retribuzioni in natura e benefit, premi e incentivi, ricorrono i superminimi.
Caretteristiche del trattamento accessorio “superminimo”
- Pattuizione: la somma erogata a titolo di superminimo può essere pattuita nel contratto individuale tra le parti (superminimo individuale), oppure nell’ambito della contrattazione aziendale (superminimi collettivi).
- Motivazioni: la corresponsione di tale trattamento deriva, in genere, dalle funzioni attribuite al lavoratore, da suoi particolari meriti o da specifiche qualità.
- Soggetti beneficiari: i superminimi possono essere corrisposti individualmente o collettivamente.
A seconda di quanto stabilito dalle parti, il trattamento accessorio del superminimo (individuale) può essere:
- Assorbibile
- Non assorbibile
Nel primo caso, il trattamento è destinato a ridursi proporzionalmente in caso di aumenti retributivi, derivanti dai rinnovi dei CCNL o da passaggi di livello. Nella seconda ipotesi, il superminimo resta invariato all’aumentare della retribuzione.
Il testo dell’art. 2103 c.c. sopra citato, rimanda espressamente ad un criterio di carattere qualitativo, oltre che quantitativo, per la determinazione del diritto alla retribuzione del lavoratore. Questa connotazione impone una forte connessione del diritto alla retribuzione con il patrimonio professionale del lavoratore.
Per cui, in caso di retribuzione correlata al patrimonio professionale del lavoratore, un cambiamento di mansioni non può determinare nessuna riduzione della retribuzione.
Di converso, la retribuzione (nel nostro caso, trattamento di superminimo) connessa a particolari modalità di svolgimento della prestazione, che trae da una specifica situazione la ratio della sua corresponsione, è esclusa dal principio della irriducibilità. Nel caso di retribuzione correlata a particolari e contingenti modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, quindi, la stessa può essere oggetto di decurtazione. Trattasi, in particolare, di modalità di svolgimento dell’attività correlate a situazioni temporali, logistiche, operative.
Pertanto, fermo restando il sopra citato principio di “irriducibilità”, l’erogazione di trattamenti retributivi accessori, quali appunto i superminimi, può essere sospesa (o ridimensionata) se l’emolumento è liquidato in presenza di condizioni temporanee o motivazioni specifiche e non è correlato al patrimonio professionale del lavoratore.
Tuttavia, anche in assenza di espresse clausole concordate tra le parti, è possibile che il lavoratore rinunci al superminimo: infatti tale elemento è ritenuto un diritto nella piena disponibilità del lavoratore dipendente. Per cui, anche se il datore di lavoro, una volta attribuito, non può unilateralmente revocarlo, il lavoratore vi può legittimamente rinunciare.
Come peraltro è possibile che il lavoratore rinunci a tutti quegli elementi accessori alla retribuzione, non previsti dal C.C.N.L., ma da eventuale contrattazione individuale (occorre però citare le limitazioni e le perplessità poste al riguardo dagli orientamenti giurisprudenziali).
Stefano Carotti – Centro Studi CGN