Ogni impresa deve avere una propria PEC esclusiva. A ribadirlo è stato il Ministero dello Sviluppo Economico, con la circolare n. 3670 del 23 giugno 2014, intervenendo nuovamente sul caso dell’iscrizione della medesima PEC su due o più imprese distinte.
La posizione del Ministero conferma quanto già evidenziato nella precedente lettera circolare del 9 maggio 2014, prot. n. 77684, in risposta ad un quesito pervenuto dal registro delle imprese di Taranto in cui veniva evidenziata l’anomala situazione di condivisione di un unico indirizzo PEC da parte di più imprese. Inoltre, nella stessa nota, il Ministero segnalava di aver ricevuto una comunicazione da parte dell’INAIL con la quale veniva evidenziato come, nell’ambito dei controlli per la propria attività d’ufficio, era stata rilevata la presenza, nel registro delle imprese, di un elevato numero (circa 191.000) di indirizzi PEC condivisi da due o più imprese.
Secondo l’amministrazione è “indubitabile che per ogni impresa (sia essa societaria o individuale) debba essere iscritto, nel registro delle imprese, un indirizzo di PEC alla stessa esclusivamente riconducibile”.
La questione della “PEC in condominio” è stata trattata anche dall’Agenzia per l’Italia digitale presso la Presidenza del Consiglio in risposta alla stessa nota ministeriale del 9 maggio. L’Agenzia concorda “sull’assoluta necessità di assicurare che l’indirizzo PEC dichiarato dalle imprese (individuali e societarie) e professionisti iscritti in albi ed elenchi sia singolarmente ed esclusivamente riconducibile ai medesimi”.
Tutti sono concordi anche su un aspetto fondamentale a giustificazione dell’univocità della PEC in relazione ad ogni soggetto economico: “l’indirizzo PEC iscritto nel registro delle imprese ha carattere di ufficialità nel rapporto con i terzi e lo stesso, confluendo nell’INI-PEC, diviene il sistema di collegamento preferenziale o esclusivo della Pubblica Amministrazione, compresa l’Autorità Giudiziaria”.
È il caso di ricordare che INI-PEC sta per Indice Nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata e rappresenta un elenco pubblico che consente di rintracciare un indirizzo PEC di un attore economico (imprese e professionisti) al fine di favorire le informazioni e lo scambio di documenti, informazioni e dati utili (cfr. art. 5, comma 3, D.L. 179/2012, convertito in L. n. 221/2012).
La posizione del Ministero manda in archivio definitivamente quanto consentito in passato dallo stesso Ministero (cfr. nota prot. n. 120610 del 16/07/2013 – circolare 3 novembre 2011, n. 3645/C) secondo cui era possibile, per le imprese, indicare l’indirizzo di PEC di un terzo ai fini dell’adempimento pubblicitario presso il registro delle imprese.
Alla luce delle note interpretative delle norme in vigore in tema di PEC (art. 16, commi 6 e 6 bis del D.L. 185/2008 – conv. in L. n. 2/2009 e dell’art. 5, commi 1 e 2 del D.L. 179/2012), possiamo affermare che:
- la PEC costituisce un obbligo per le imprese e il relativo indirizzo va iscritto presso il registro delle imprese;
- il registro delle imprese dovrà intimare in via preventiva l’impresa interessata, o le imprese interessate, a sostituire la PEC registrata con un’altra utilizzata in maniera esclusiva;
- in caso di inerzia da parte delle imprese, il registro delle imprese avvierà la procedura di cancellazione del dato di cui all’art. 2191 del C.C., non potendo sussistere una situazione di “condominio” di un indirizzo PEC.
Per quanto concerne il regime sanzionatorio per le imprese nei cui confronti sia eventualmente adottato il provvedimento di cancellazione d’ufficio dell’indirizzo PEC, è utile richiamare le norme stabilite dall’art. 16, comma 6 bis, del D.L. 185/2008 e dall’art. 5, comma 2, D.L. 179/2012.
Per le società si prevede una sanzione indiretta in caso di omissione dell’obbligo di presentazione della PEC. La norma così recita:
“L’ufficio del registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un’impresa costituita in forma societaria che non ha iscritto il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, in luogo dell’irrogazione della sanzione prevista dall’articolo 2630 del codice civile, sospende la domanda per tre mesi, in attesa che essa sia integrata con l’indirizzo di posta elettronica certificata”.
Anche per le imprese individuali si prevede una sanzione indiretta per via della norma che così recita:
“L’ufficio del registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un’impresa individuale che non ha iscritto il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, in luogo dell’irrogazione della sanzione prevista dall’articolo 2630 del codice civile,sospende la domanda fino ad integrazione della domanda con l’indirizzo di posta elettronica certificata e comunque per quarantacinque giorni; trascorso tale periodo, la domanda si intende non presentata.”
Proprio in tema di sanzioni, il Consiglio di Stato, con parere del 10 aprile 2013, su richiesta del Ministero dello Sviluppo Economico si è espresso sull’argomento, ritenendo che, trascorsi inutilmente i tre mesi e non avendo la società provveduto ad iscrivere la PEC, l’ufficio R.I. competente non può che respingere la domanda di iscrizione nel Registro delle Imprese, poiché dalla lettura dell’art. 16 L. n. 2/2009 “si desume il carattere essenziale della comunicazione dell’indirizzo PEC nella prospettiva di semplificazione dei rapporti tra amministrazione e impresa”. Questa interpretazione, sostiene il Consiglio di Stato, è avvalorata dall’art.5 comma 2 L. n.221/2012, che espressamente prevede per le imprese individuali che, trascorsi i 45 giorni di sospensione senza l’integrazione della PEC, la domanda si intende non presentata.
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN