Sono soggetti agli studi di settore anche i medici di medicina generale che svolgono l’attività professionale presso strutture pubbliche in forza di apposite convenzioni stipulate con le ASL. È quanto stabilito dal TAR del Lazio, con la sentenza n. 9339 del 3 settembre 2014.
A presentare ricorso, chiedendo l’annullamento del provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che ha incluso nel meccanismo degli studi di settore anche i medici di medicina generale, era stata la Federazione Italiana Medici (F.I.M.M.G.).
Secondo il sindacato dei medici, gli studi di settore non sono applicabili alla categoria dei medici di medicina generale in quanto gli stessi hanno stipulato una convenzione nazionale che regola (ai sensi dell’art. 8, co.1, del D.Lgs. 502/99) il rapporto di lavoro autonomo, continuativo e coordinato che si instaura tra le Aziende Unità Sanitarie locali e i medici, per lo svolgimento dei compiti e delle attività relativi ai settori di:
- assistenza primaria di medicina generale;
- continuità assistenziale;
- attività territoriali programmate.
I medici di medicina generale sono fortemente vincolati dalle regole dettate dal SSN (per quanto concerne il numero di pazienti da assistere, i compensi, le ore di lavoro, le ferie) e questo aspetto li rende assimilabili a dei lavoratori parasubordinati, nonostante formalmente e fiscalmente siano dei lavoratori autonomi.
Pertanto, vista la natura vincolata di tale rapporto di lavoro, al medico di medicina generale è preclusa ogni possibilità di occultare compensi, assoggettati a ritenuta alla fonte.
Sempre secondo la parte ricorrente, gli studi di settore troverebbero applicazione con riferimento all’attività residuale svolta privatamente dal medico, in una percentuale esigua che si aggirerebbe tra lo 0% e il 5% del totale dei compensi, il che dimostrerebbe l’assenza di qualsiasi concreta utilità dell’imposizione tributaria.
La tesi é stata respinta dal TAR del Lazio che, con la sentenza n. 9339 del 3 settembre 2014, ha confermato che anche gli specialisti di medicina generale devono essere sottoposti agli studi di settore.
Detti medici, pur svolgendo un’attività “vincolata” a favore delle ASL, mantengono comunque la qualifica di lavoratori autonomi e, come tali, restano liberi di esercitare la professione medica privatamente percependo redditi diversi da quelli elargiti dal SSN. Inoltre, il fatto che i compensi non corrisposti dalla ASL possano rappresentare una percentuale marginale rispetto al totale non incide sulla qualificazione dell’attività svolta, che resta di lavoro autonomo assoggettato a studi di settore, e non giustifica nemmeno un eventuale esonero della categoria dagli studi.
Giovanni Fanni – Centro Studi CGN
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