L’articolo 8 del D.Lgs. 74/2000 punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto o sui redditi, indica elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni annuali, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Cosa si intende per operazioni inesistenti e quali sono le conseguenze dell’emissione di fatture false?
La definizione di operazioni inesistenti include le operazioni mai effettuate, le operazioni effettuate ma per le quali è stato indicato un importo diverso (generalmente più elevato) e le operazioni effettuate ma tra parti diverse.
La Corte di Cassazione si è pronunciata più volte in tema di fatture false. In particolare, la sentenza n. 14337 del 7 ottobre 2002 ha dichiarato indetraibile l’IVA relativa alle fatture per operazioni inesistenti, anche se il soggetto che ha emesso la fattura ha versato l’imposta.
La sentenza n. 21317 del 6 ottobre 2009 ha invece deliberato che spetta all’amministrazione che adduce la falsità del documento e, quindi, l’esistenza di un maggiore imponibile, provare che l’operazione commerciale, documentata dalla fattura, in realtà non è mai avvenuta.
In ultimo, anche la sentenza n. 16226 del 16 luglio 2014 ha affermato il principio secondo cui nel caso in cui l’Ufficio finanziario ritenga che la fattura sia stata emessa a fronte di un’operazione inesistente, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e la deduzione del costo, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata.
A quel punto, l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate sarà in capo al contribuente, ma la prova non potrà mai consistere nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di fare apparire reale un’operazione fittizia.
Quello di individuare con certezza chi ha l’onere della prova è stato da sempre l’argomento più spinoso in tema di fatture per operazioni inesistenti. Secondo l’orientamento più recente, si può comunque operare una distinzione tra:
1) fatture oggettivamente inesistenti (quelle per le quali la cessione del bene o la prestazione del servizio non è mai avvenuta): deve essere l’amministrazione finanziaria a provare l’inesistenza delle fatture/operazioni;
2) fatture soggettivamente inesistenti (quelle per le quali il soggetto che emette fattura non è colui che ha effettuato l’operazione): deve essere il contribuente a fornire la prova contraria che il cedente o il prestatore non è un soggetto fittizio e che l’operazione è stata realmente conclusa con esso.
Nel caso sia accertata l’assenza dell’operazione, le conseguenze possono essere davvero gravi perché viene escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente, il quale sa bene se ha effettivamente ricevuto o meno una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi.
Nel caso di società poi, l’emissione di fatture per operazioni inesistenti potrebbe far scattare il reato per false comunicazioni sociali dal momento che vengono esposti in contabilità fatti materiali che non rispondono ad una concreta o veritiera realtà e vengono omessi dati o informazioni la cui comunicazione è prevista da disposizioni normative.
Nella fattispecie, la Cassazione ha ritenuto configurabili i gravi indizi di reato in relazione all’annotazione in bilancio di flussi in entrata di somme di denaro riconducibili all’emissione di fatture per operazioni inesistenti e a comportamenti finalizzati all’evasione fiscale.
Chi risponde per i reati tributari connessi alle fatture per operazioni inesistenti? Nel caso di ditta individuale ne risponde ovviamente l’imprenditore, mentre nel caso di società ne risponde il legale rappresentante, l’amministratore unico (o il presidente del consiglio di amministrazione) e coloro che sono muniti di specifiche deleghe per l’espletamento delle loro mansioni.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN