La manovra di Ferragosto (D.L. n. 138/2011) è intervenuta ancora sul tema del contenzioso modificando alcune disposizioni recentemente introdotte dal D.L. n. 98/2011. In realtà si tratta di un intervento di aggiustamento e di coordinamento volto a finalizzare alcuni problemi che sono sorti a seguito del precedente intervento normativo.
In particolare, l’area di intervento del legislatore ha interessato il contributo unificato e gli elementi da indicare nel ricorso con particolare riguardo alla necessità di riportare all’interno dello stesso l’indirizzo di posta elettronica certificata e il numero di fax del difensore.
Le novità sono contenute nel maxiemendamento recentemente approvato dal Senato e ora al vaglio della Camera per l’approvazione definitiva.
Il contributo unificato
L’art. 37, commi 6 e 7 del citato D.L. n. 98/2011 ha introdotto una serie di novità riguardanti il processo tributario e, tra queste, l’obbligo di versare il contributo unificato anche per i ricorsi tributari.
La disposizione citata ha modificato l’art. 13 del D.P.R. n. 115/2002 introducendo il nuovo comma 6-quater che prevede il versamento del contributo unificato per i ricorsi principali e incidentali proposti avanti alle Commissioni tributarie provinciali e regionali.
La misura del predetto contributo è variabile in relazione al valore della controversia. A tal proposito, l’art. 14, comma 3-bis del D.P.R. n. 115/2002 prevede che tale valore debba essere determinato con riferimento all’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato. Per le controversie riguardanti esclusivamente l’irrogazione delle sanzioni il valore della controversia è determinato in base alla somma di quest’ultime. Il contributo unificato sostituisce, quindi, l’imposta di bollo che, conseguentemente, non dovrà più essere assolta al momento della proposizione del ricorso.
Per quanto riguarda l’entrata in vigore l’art. 37, comma 7 del D.L. n. 98/2011 puntualizza che il contributo unificato è dovuto per le controversie instaurate, nonché ai ricorsi notificati ai sensi del D.Lgs n. 546/1992 successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, quindi dopo il 6 luglio 2011.
Risulta dunque evidente come un elemento essenziale al fine di determinare la somma dovuta sia costituito dal valore della controversia. Tuttavia, con riferimento a talune specifiche fattispecie, il valore della lite non è determinabile. È dunque necessario comprendere quali fossero i criteri da seguire per determinare il contributo unificato da versare.
Il maxiemendamento è intervenuto sul tema prevedendo espressamente, più in generale, quali siano le conseguenze laddove il difensore manchi di indicare, in calce al ricorso la dichiarazione di valore della controversia (cfr art. 14 del D.P.R. n. 115/2002). Tale dichiarazione è necessaria affinché la segreteria possa verificare la correttezza del calcolo del contributo unificato dovuto.
Analogamente a quanto previsto per il processo civile, l’omessa dichiarazione di valore determina l’applicazione del contributo unificato nella misura massima, ovvero per l’importo di 1.500 euro che, solitamente, si applica per le cause il cui valore superi 200.000 euro.
Per quanto riguarda le controversie di valore indeterminabile il contributo unificato è ora dovuto nella misura di 1.230 euro. Dovrebbero, ad esempio, rientrare nell’ambito di queste controversie quella concernente il ricorso contro il diniego di iscrizione all’anagrafe delle Onlus.
L’indicazione nel ricorso dell’indirizzo di posta elettronica certificata
Il D.L. n. 98/2011 ha tra l’atro modificato l’art. 16 del D.Lgs n. 546/1992 avente a oggetto la disciplina del contenzioso tributario. In particolare, è stato introdotto nel corpo del predetto articolo il comma 1-bis il quale ha previsto l’obbligo di indicare nel ricorso o nel primo atto difensivo l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o delle parti.
A ben vedere il legislatore è intervenuto sul citato art. 16 la cui rubrica è Comunicazioni e notificazioni senza modificare, invece, l’art. 18 del medesimo Decreto legislativo il cui oggetto è costituito dai contenuti del ricorso.
La lacuna, se così si può dire, è stata colmata dal maxiemendamento che ha contestualmente modificato sia il comma 2, ma anche il successivo comma 4. Per effetto della citata modifica normativa l’art. 18 prevede espressamente che il ricorso deve contenere l’indicazione:
– della Commissione tributaria cui è diretto;
– del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonché del codice fiscale e dell’indirizzo di posta elettronica certificata.
– dell’ufficio del Ministero delle Finanze o dell’ente locale o del concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti il ricorso è proposto;
– dell’atto impugnato e dell’oggetto della domanda;
– dei motivi.
In questo caso, però, diversamente da quanto previsto dall’art. 16 l’indirizzo di posta elettronica certificata non riguarda il difensore, ma il ricorrente. Pertanto, se il legislatore non fosse ulteriormente intervenuto modificando il successivo comma 4 (dell’art. 18) l’omessa indicazione della Pec del ricorrente avrebbe dato luogo alla nullità dei ricorsi privi di tale elemento. Invece la manovra di Ferragosto ha considerato l’omessa indicazione di tale elemento come un vizio formale che, conseguentemente, non comportano la nullità dell’atto.
Tuttavia la mancata indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata sarà in grado di determinare effetti concreti solo laddove l’omissione riguardi il difensore abilitato all’assistenza tecnica. Infatti, il D.L. n. 98/2011 prevede espressamente che “ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax … il contributo unificato è aumentato della metà.
La norma contiene un chiaro riferimento diretto al difensore, vale a dire l’incremento del contributo unificato nella misura del 50 per cento non trova applicazione qualora l’omessa indicazione della Pec riguardi solo i dati del contribuente. In sostanza questo tipo di violazione, se circoscritta al ricorrente, è destinata a non produrre alcun effetto concreto né in termini di validità del ricorso, né per quanto riguarda i profili amministrativi.
Nicola Forte