L’anatocismo consiste nella capitalizzazione degli interessi maturati su una certa somma. Di fatto, alla scadenza stabilita, gli interessi si sommeranno al capitale dal quale derivano, formando un unico importo che, a sua volta, genererà altri interessi e così via. Ma quali sono i criteri per una sua corretta applicazione?
Il nostro Codice civile, sin dal 1942, ha trattato l’argomento all’art. 1283, disponendo che:
- in mancanza di usi contrari
- gli interessi dovuti per almeno sei mesi e già scaduti
- producono interessi dal giorno in cui ne è fatta richiesta tramite un Giudice oppure per effetto di un accordo tra le parti interessate, successivo alla scadenza convenuta.
Per molti anni, il sistema bancario è riuscito ad applicare la precisazione della “mancanza di usi contrari” a proprio favore, considerando “in uso” il meccanismo dell’anatocismo.
Inoltre, con effetto dal 1° gennaio 1952, sulla base di una previsione dell’ABI (Associazione bancaria Italiana), l’applicazione dell’anatocismo bancario è avvenuto con periodicità:
- trimestrale, per il calcolo degli interessi passivi dovuti dai debitori;
- annuale, per il calcolo degli interessi attivi spettanti ai creditori.
Tuttavia, la prassi instaurata dal sistema bancario ha subito un’inversione di tendenza, principalmente a causa:
- della L.17.2.1992 n. 154 (Norme sulla trasparenza bancaria) poi confluita nel TUB di seguito citato;
- dell’entrata in vigore dal 1 gennaio 1994 del D. Lgs. 1.9.1993 n. 385 comunemente denominato TUB (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) che sostituì le Leggi bancarie risalenti agli anni 1926 – 1936;
- della Sentenza della Corte di Cassazione n. 2374 del 16.3.1999, che considerò nulla la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente alla banca. In particolare la sentenza evidenziò che la predetta capitalizzazione si basava su “usi” di tipo negoziale e non su una norma consuetudinaria, concludendo che non esisteva un “uso normativo” che giustificava l’applicazione dell’anatocismo diversamente dalle norme di legge;
- del D. Lgs. 4.8.1999 n. 342 che modificò l’art. 120 del TUB stabilendo che la cadenza temporale della capitalizzazione deve essere uguale sia per i saldi attivi che per quelli passivi. Con delibera del CIRC (Comitato interministeriale per il Credito ed il Risparmio) del 22 febbraio 2000, in vigore dal successivo 22 aprile, fu introdotta la possibilità di capitalizzare trimestralmente gli interessi a debito del cliente bancario a condizione che la stessa cadenza temporale venisse applicata per gli interessi a credito. La giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione si è orientata a fare valere detta possibilità solo ai rapporti bancari instaurati successivamente al 22 aprile 2000.
Pertanto, con queste premesse, i contratti di conto corrente e di mutuo, stipulati dal 22 aprile 2000, sono validi se:
- prevedono (delimitandola temporalmente) la stessa periodicità di calcolo degli interessi debitori e creditori;
- specificano sia il TAN (tasso annuale nominale) che il TAE (tasso annuo effettivo considerata la capitalizzazione) applicato agli interessi debitori e creditori;
- la clausola anatocistica è specificatamente approvata dal cliente.
Dott. Rag. Giuseppina Spanò – Palermo