Quali atti e comportamenti sono considerati forme di accettazione tacita di eredità e quali invece no? Rispondiamo alla domanda analizzando i casi delineati dalla giurisprudenza.
Dato che comporta anche l’assunzione della responsabilità per eventuali debiti del de cuius, l’eredità richiede sempre un’accettazione da parte dell’erede.
Il codice civile disciplina l’ipotesi di accettazione espressa, quando la volontà di essere erede viene manifestata in modo diretto, con un atto formale. Tuttavia ciò non avviene sempre in modo palese, in quanto ci sono delle ipotesi di accettazione tacita di eredità: questa si verifica quando la persona chiamata all’eredità compie un atto che implica necessariamente la volontà di accettare l’eredità, e che tale soggetto non potrebbe compiere se non nella sua qualità di erede.
Non qualsiasi comportamento tenuto dal chiamato può costituire accettazione tacita di eredità. Trattasi quindi di ipotesi previste dalla legge (come contemplato negli articoli 477 e 478 del codice civile) o comunque delineate dalla giurisprudenza.
La dottrina che si è occupata di esaminare l’argomento ha ricavato, infatti, tra i presupposti fondamentali e che sarebbero indispensabili ai fini di una accettazione tacita la presenza della consapevolezza, da parte del chiamato, dell’esistenza di una delazione in suo favore. Secondo un orientamento autorevolmente sostenuto, inoltre, non si potrebbe prescindere dalla volontà del chiamato perché vi sia accettazione, pur tacita, dell’eredità. In particolare, per aversi accettazione tacita ai sensi dell’art. 476 cod. civ., sarebbe necessario che il chiamato assuma un comportamento inequivoco, in cui si possa riscontrare sia l’elemento intenzionale di carattere soggettivo (c.d. animus), sia l’elemento oggettivo attinente all’atto, tale che solo chi si trovi nella qualità di erede avrebbe il diritto di compiere.
In una differente prospettiva la figura della accettazione tacita si porrebbe al confine tra l’atto giuridico in senso stretto e il negozio giuridico. Proprio con riferimento alla accettazione tacita di eredità, infatti, si è fatto riferimento al concetto di negozio di attuazione. In tale negozio, la volontà non si esprimerebbe in modo diretto ma tramite un comportamento concludente.
Al di là di queste ricostruzioni dottrinali, nella prassi (peraltro confermata in anni recenti da varie sentenze della giurisprudenza di Cassazione), sembra potersi ritenere che la presentazione della dichiarazione di successione non integrerebbe gli estremi dell’accettazione tacita, poiché si configurerebbe come atto di mero adempimento di obblighi di natura fiscale.
Allo stesso modo non comporterebbe accettazione tacita l’immissione nel possesso dei beni ereditari, purché tale situazione sia finalizzata al compimento di atti aventi finalità conservativa. Tra questi atti sembra rientrino ad esempio la richiesta di sequestro dei beni, la pubblicazione del testamento olografo o comunque il compimento di comportamenti di amministrazione temporanea dei beni.
Tantomeno comporterebbe accettazione di eredità il pagamento di debiti del de cuius che il chiamato effettui con denaro proprio.
Dall’altro versante vengono considerate forme di accettazione tacita di eredità la proposizione da parte del chiamato dell’azione di rivendicazione oppure l’esperire l’azione di riduzione, quella azione volta a far valere la qualità di legittimario leso o comunque pretermesso dalla sua quota.
E parallelamente possono considerarsi forme di accettazione tacita anche alcune condotte come l’azione di risoluzione o di rescissione di un contratto, così come l’azione di divisione ereditaria (che tra l’altro può essere proposta solo da chi ha già assunto la qualità di erede).
Non da ultimo possono considerarsi forme di accettazione anche la riassunzione di un giudizio già intrapreso dal de cuius o la rinuncia agli effetti di una pronuncia in grado di appello, così come il pagamento da parte del chiamato dei debiti lasciati dal de cuius col patrimonio dell’eredità.
Anche la voltura catastale determinerebbe accettazione: si tratterebbe di un atto non solo rilevante dal punto di vista tributario per il pagamento dell’imposta, ma anche dal punto di vista civile. Difatti solo chi intenda accettare l’eredità assumerebbe l’onere di effettuare tale atto e di attuare il passaggio legale della proprietà dell’immobile dal de cuius a se stesso.
Marco Marson – Centro Studi CGN