Ci risiamo. Professionisti e IRAP, atto infinito. Secondo parte della stampa specializzata, la sentenza n. 19688 del 27 settembre 2011 della Corte di Cassazione avrebbe sancito l’obbligatorietà dell’imposizione dell’IRAP sui professionisti anche se dotati di organizzazione di modesta entità.
In altri termini, a una prima lettura della suesposta sentenza, la Corte di Cassazione avrebbe stabilito l’assoggettamento al prelievo fiscale per un professionista anche se la sua struttura è minima. Rimarrebbe ferma, tuttavia, l’esclusione dal predetto obbligo per i professionisti dipendenti o collaboratori di terzi.
Invero, a una più attenta lettura della sentenza in commento, la Corte di Cassazione non ha mutato il proprio orientamento, peraltro, confermato dalle ultime istanze presentate da un medico che deteneva il proprio studio in affitto, ovvero da un avvocato avente uno studio di circa 100 mq.
Con particolare riferimento alla questione oggetto della sentenza, l’Amministrazione Finanziaria aveva proposto ricorso in Cassazione perché la Commissione tributaria di secondo grado, in merito, aveva osservato che non era dato riscontrare la presenza di un’autonoma organizzazione nei confronti dei professionisti posto che si trattava di assetto organizzativo di rilievo minimale. La predetta giurisprudenza di merito, pertanto, riteneva non sufficiente ai fini della tassazione l’elemento organizzativo e affermava che, di regola, l’autonoma organizzazione non è riscontrabile nell’attività di lavoro autonomo.
A tal proposito, la Cassazione ricorda che, ai fini IRAP, “l’applicazione dell’imposta è esclusa soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata” e, in merito, afferma che il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente:
- sia il responsabile dell’organizzazione e non sia inserito in strutture riferibili a terzi;
- impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività, ovvero si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
I giudici di legittimità, quindi, focalizzano la loro attenzione non sull’entità dell’organizzazione, ma sul fatto che la Commissione tributaria regionale non aveva accertato la sussistenza dell’autonoma organizzazione.
Dal tenore letterale della sentenza, infatti, emerge che i professionisti controricorrenti non avevano adeguatamente dimostrato l’insussistenza del requisito organizzativo.
In altri termini, la Suprema Corte non ha (correttamente) verificato se, nel caso in esame, vi fosse autonoma organizzazione il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivata. Non ha dissertato, quindi, sull’entità dei beni strumentali, eccedenti o meno, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività, o se per l’esercizio dell’attività professionale ci si fosse avvalso di lavoro altrui in modo non occasionale.
La Corte di Cassazione, in pratica, ha ravvisato l’assenza della dimostrazione, da parte del contribuente, dell’onere di dare prova dell’assenza delle condizioni per l’esclusione dall’imponibilità.
Ne deriva che, anche dopo la sentenza in esame, gli elementi per accertare l’autonoma organizzazione rimangono sempre i medesimi anche se, dopo la sentenza in esame, la piccola organizzazione dovrà essere provata dal contribuente.
[poll id=”2″]