Sono sempre più numerosi i casi in cui il commercialista è chiamato in causa per il risarcimento del danno subito dal cliente a seguito di un inadempimento contrattuale che ha generato conseguenze fiscali inattese. In questo articolo mettiamo in luce gli aspetti essenziali della responsabilità del commercialista, riportando un’importante sentenza della Corte di Cassazione che si è espressa in merito a un parere sbagliato fornito dal consulente.
Va innanzitutto chiarito che le prestazioni del professionista, derivanti dalla stipula di un contratto d’opera intellettuale ex artt. 2229 e ss del Codice civile, si configurano:
- come obbligazioni di mezzi: rappresentano i casi più diffusi, come quelli, per esempio, legati al mandato per l’assistenza in sede di verifiche e controlli fiscali, ovvero per la predisposizione di un ricorso tributario. In questi casi il professionista è responsabile solo del modo in cui svolge l’incarico e della sua preparazione professionale, ma non anche del risultato;
- come obbligazioni di risultato: nei restanti casi, che sono comunque in forte ascesa, anche per via della recente giurisprudenza (si pensi, ad esempio, all’impegno assunto per la trasmissione telematica della dichiarazione del cliente).
Il più delle volte, la prestazione richiesta al professionista si configura come un’obbligazione di mezzi. Ciò vuol dire che il cliente non potrà lamentarsi del mancato raggiungimento del risultato sperato, ma potrà solo lamentarsi del modo in cui il professionista ha svolto il suo compito, potendo addebitargli l’eventuale negligenza o imperizia nell’eseguire l’incarico.
Secondo le norme codicistiche, la diligenza imposta al prestatore d’opera intellettuale è una diligenza qualificata, superiore a quella che viene richiesta ad una persona comune (c.d. diligenza del buon padre di famiglia), ed è commisurata alla prestazione che lo stesso deve eseguire. È l’art. 1176, comma 2 del Codice civile a prevedere che “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”. La diligenza richiesta comporta, infatti, uno speciale sforzo tecnico, la cui espressione va sintetizzata nel concetto di perizia, intesa come quel complesso di regole tecniche e professionali espresse dal livello medio della categoria d’appartenenza.
Il cliente che ritiene di aver subito un danno dall’attività del prestatore d’opera, al fine di ottenere il risarcimento, dovrà dar prova in sede giudiziale del contratto sottoscritto e dimostrare:
- il danno subito;
- la colpa del prestatore (anche nella forma “lieve”);
- il nesso di causalità tra colpa e danno.
La ripartizione dell’onere della prova, nel caso in cui la prestazione del professionista abbia causato un danno al cliente, prevede che sia il cliente a dover provare danno, colpa e nesso di causalità. Il professionista, per sottrarsi all’obbligo di risarcimento, dovrà provare che si trattava di prestazione comportante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà di cui all’art. 2236 c.c.
Quanto all’elemento psicologico, il comportamento “dannoso” del professionista potrebbe, a sua volta, essere qualificato come:
- doloso, quando è presente l’intenzionalità dell’azione od omissione;
- colposo, quando il danno è conseguenza della negligenza, imprudenza, inosservanza di norme giuridiche ovvero, più comunemente, dell’imperizia del professionista, intesa come ignoranza di cognizioni tecniche, ovvero inesperienza professionale;
- gravemente colposo, quando la negligenza risulta macroscopica, imperdonabile.
Una grande eco ha suscitato la sentenza della Cassazione n. 15107 del 22 luglio scorso che ha condannato un commercialista a risarcire il danno causato a una società in misura pari a quanto da questa versato per oneri fiscali (1 milione di euro) per non aver adempiuto all’obbligo assunto contrattualmente di progettare un’operazione di riorganizzazione aziendale in neutralità fiscale. Nel caso in questione, un professionista aveva concluso con una società un contratto di mandato, con il quale gli era stato affidato il compito di gestire un’operazione di ristrutturazione del gruppo societario. Nel contratto era stata inserita una clausola con la quale il commercialista si era impegnato a realizzare la ristrutturazione del gruppo societario in regime di neutralità fiscale, dato che, a suo dire, i conferimenti sarebbero rientrati nel regime di sospensione d’imposta. Per effetto dell’operazione, invece, il gruppo societario era stato costretto a versare oltre 1 milione di euro di imposte. Di conseguenza, la società aveva adito l’autorità giudiziaria per ottenere il risarcimento del danno subito e cagionato dalla condotta inadempiente del commercialista. Nella sentenza in commento, la Cassazione evidenzia come il rapporto concretamente instauratosi tra il professionista e il committente fosse, nel caso di specie, regolato sulla base di una specifica individuazione di obiettivi da raggiungere, tra cui, appunto, la riorganizzazione del gruppo societario in regime di neutralità fiscale. I giudici di legittimità sottolineano che non si tratta di una riorganizzazione qualunque della struttura societaria, ma di una specifica riorganizzazione volta a consentire “al committente di andare esente da quella tassazione poi, invece, imposta alla società per fatto e colpa del debitore”.
La sentenza della Cassazione conferma che, in presenza di responsabilità contrattuale, la parte danneggiata deve, al fine di ottenere il risarcimento del danno subito, limitarsi a produrre il contratto (ove è indicata la specifica obbligazione) e ad allegare l’inadempimento della controparte (circostanza che nel caso di specie era stata dimostrata).
Per via del rischio connaturato all’esercizio delle prestazioni dedotte in mandato, è il caso di ricordare che il professionista ha l’obbligo di assicurarsi contro i danni provocati ai clienti, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 7.8.2012, n. 137 (in attuazione dell’art. 3, comma 5, del Decreto-Legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148). Secondo tale ultima disposizione, “il professionista è tenuto a stipulare, anche per il tramite di convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti, idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall’esercizio dell’attività professionale, (…). Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza professionale, il relativo massimale e ogni variazione successiva”.
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN