Il nuovo regime fiscale delle rinunce ai crediti da parte dei soci ne prevede l’imponibilità in capo alla società per la parte che eccede il valore fiscalmente riconosciuto, che deve essere comunicato tramite apposita dichiarazione sostitutiva. La norma vigente fino al 2015 prevedeva la non imponibilità, in capo alla società beneficiaria, delle sopravvenienze attive derivanti dalle rinunce ai crediti vantati da parte dei soci. Importanti novità sono state recentemente introdotte. Vediamole nel dettaglio.
- Il “Decreto internazionalizzazione” sancisce l’imponibilità ai fini delle imposte sui redditi delle sopravvenienze in esame, maturate in capo alla società debitrice. Tali componenti reddituali (ai sensi del nuovo co. 4-bis inserito in seno all’art. 88 TUIR dall’art. 13, co. 1, lett. a), D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147) concorrono pertanto alla formazione del reddito d’impresa della società, pur se nel limite del valore fiscalmente riconosciuto ai crediti stessi.
- Il valore fiscale del credito deve essere comunicato dal socio attraverso un’apposita dichiarazione sostitutiva di atto notorio.
- In assenza di tale dichiarazione il valore fiscale del credito oggetto della rinuncia viene considerato pari a zero, per cui la sopravvenienza sarà completamente tassata.
- L’imponibilità rileva dal 2016 (o, più correttamente, dal periodo di imposta successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto, ovvero il 7 ottobre 2015).
- La fattispecie in esame continua a non rilevare ai fini dell’IRAP.
La modifica normativa in oggetto va a sanare le evidenti asimmetrie e i conseguenti salti di imposizione che il previgente sistema invece consentiva. Si pensi al seguente esempio, al quale, in questi ultimi anni di crisi, si è assistito in maniera abbastanza frequente. Si ipotizzi che il socio Alfa acquisti, per un corrispettivo di 100, un credito di 1.000 vantato da una banca verso la partecipata Beta e che, successivamente, il socio stesso rinunci al credito verso la partecipata. A questo punto la società Beta dovrà far concorrere al reddito l’importo di 900, pari al maggior valore fiscale del credito. Fino al 2015, tale situazione comportava invece una non imponibilità della sopravvenienza in capo alla società, a fronte però della deduzione di 900 operata dalla banca in seguito alla cancellazione del credito e alla rilevazione della relativa perdita.
Corrispondentemente alla tassazione delle sopravvenienze in capo alla società, la successiva lett. b) del medesimo art. 13 del citato “Decreto internazionalizzazione” va a modificare anche il co. 6 dell’art. 94 TUIR: la rinuncia del credito da parte del socio comporta l’aumento del costo della partecipazione ma (e qui risiede la novità del 2016) nel limite del valore fiscale del credito stesso.
Si ipotizzi, ora, che il credito sia vantato da un socio a sua volta impresa che, nel momento in cui dovesse rinunciare al credito, provvederà al relativo stralcio dal bilancio. Può sorgere a questo punto un dubbio: tale rettifica può rappresentare un elemento certo e preciso che, ai sensi dell’art. 101 TUIR, consente la deducibilità della perdita sul credito in oggetto? Si deve ritenere che la norma prevista dall’art. 94 abbia carattere speciale e che prevalga sulla generale disciplina delle perdite su crediti: pertanto, deve ritenersi indeducibile. Si pensi, però, che la perdita in oggetto andrà ad aumentare il costo della partecipazione, e comporterà quindi, in caso di successiva cessione, una minore plusvalenza tassabile.
Da un punto di vista contabile, infine, si rileva che, in ottemperanza al nuovo OIC 28, “la rinuncia del credito da parte del socio […] è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio. Pertanto, in tal caso la rinuncia dei soci al diritto alla restituzione trasforma il debito della società in una posta di patrimonio netto avente natura di riserva di capitale”. Tale rinuncia, in ogni caso, deve essere esplicitamente finalizzata al rafforzamento patrimoniale della società; continuerà, pertanto, a costituire un componente di conto economico (rettifica di costi o sopravvenienza attiva) l’eventuale riduzione del debito verso il socio-fornitore che dovesse derivare da contestazioni o abbuoni legati alla fornitura stessa.
Mauro Daniotti – Centro Studi CGN