La necessità di accorciare sensibilmente l’intervallo di tempo che intercorre tra la notifica dell’avviso di accertamento e la fase della vera e propria riscossione, che transita da Equitalia in tutta la penisola e da Serit Sicilia per l’isola, ha condotto il legislatore all’introduzione, a mezzo dell’art.29 del Dl. n. 78/2010, dell’affidamento quasi immediato all’Agente per la riscossione del mandato di avviare la procedura di esecuzione forzata a carico del contribuente che non adempie al pagamento entro il sessantesimo giorno successivo alla notifica dell’atto impositivo.
Ora, ricevuto l’avviso di accertamento, il contribuente è posto, in breve, di fronte alle seguenti possibilità:
- inoltrare il ricorso alla Commissione tributaria provinciale
- definire la sola sanzione e impugnare l’accertamento relativamente ai tributi liquidati;
- presentare, ove ancora possibile, l’istanza di definizione dell’accertamento con adesione;
- estinguere il debito risultante dall’accertamento con il beneficio della riduzione della sanzione;
- far definire l’accertamento per mancata impugnazione.
Andiamo adesso ad analizzare, in funzione del diverso comportamento adottato dal contribuente, per quale ammontare il titolo diventa esecutivo, ossia l’ammontare che l’Agenzia delle entrate comunica a Equitalia in vista della riscossione coattiva.
L’articolo 15 del Dpr 602/1973, dopo la modifica apportata dalla legge 106/2011, di conversione del Dl. n. 70/2011, stabilisce che “le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell’atto di accertamento, per un terzo degli importi corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati”.
È invece sospesa, ai sensi dell’art.19 del D. lgs. 472/1997, la riscossione delle sanzioni fino alla decisione della Commissione Tributaria Provinciale.
Nel caso di rigetto totale o parziale del ricorso, la sanzione viene riscossa per i due terzi dopa la decisione di primo grado, e per l’intero dopo l’appello, ma nella misura che risulta dovuta in base alle sentenze.
In tema accertamenti eseguiti in base alle disposizioni antielusive, la riscossione provvisoria non si applica quando l’accertamento è fondato sull’abuso di diritto, e cioè quando l’amministrazione finanziaria disconosce atti, fatti e negozi privi di valide ragioni economiche, posti in essere artificiosamente, con l’esclusivo obiettivo di eludere obblighi tributari.
Nelle suddette ipotesi, se l’avviso è impugnato, esso non determina, per l’amministrazione finanziaria, il diritto alla riscossione provvisoria fino alla pubblicazione della sentenza di primo grado (articolo 37-bis, comma 6, del Dpr 600/1973).
Dopo la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, la riscossione provvisoria segue le stesse regole già sopra indicate per la riscossione provvisoria delle sanzioni.
Vediamo ora come gira l’esecutività dell’atto in funzione delle diverse ipotesi di pagamento, partendo dall’ipotesi di pagamento integrale tempestivo.
Se il contribuente paga entro il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso tutti gli importi dovuti in via provvisoria l’accertamento non diventa esecutivo.
Se il contribuente non paga alcun importo entro lo stesso termine, si forma invece il titolo esecutivo in quanto emerge il diritto certo, liquido ed esigibile, in ragione e nella misura delle somme dovute in via provvisoria.
Dall’inadempimento derivano poi ulteriori conseguenze, perché maturano:
- la sanzione amministrativa pari al 30% delle imposte non versate nel termine per ricorrere (articolo 13 del D.lgs 18 dicembre 1997 n. 471);
- gli interessi di mora dal giorno della notificazione (articolo 30 del Dpr 602/1973) al tasso annuo del 5% circa ;
- l’aggio dovuto all’agente della riscossione, pari al 9% degli importi non pagati (articolo 17 del Dlgs 13 aprile 1999 n. 112) e della sanzione di omesso versamento;
- gli interessi di mora sull’aggio di riscossione .
In caso, invece, di pagamento integrale tardivo intervenuto tra la scadenze del termine per ricorrere e il trentesimo giorno successivo (trascorso il quale l’Agenzia delle entrate affida il recupero in carico agli agenti della riscossione), il contribuente è certamente in mora, ma non può ancora essere oggetto di eventuali azioni esecutive né cautelari.
Ciò perché il termine di trenta giorni è, in realtà, un termine “dilatorio”, entro il quale il debitore può dunque ancora estinguere la sua obbligazione senza poter essere ancora “aggredito”.
Passando all’analisi dell’ipotesi ulteriore di pagamento parziale, bisogna distinguere tra:
a) Pagamento tempestivo (perfezionato entro il termine per proporre ricorso):
In tale ipotesi, l’accertamento diventa esecutivo solo per la differenza tra l’importo dovuto in via provvisoria e il debito estinto e sullo stesso importo verranno calcolati gli interessi di mora, la sanzione del 30% e gli aggi dovuti all’agente della riscossione.
b) Pagamento tardivo (perfezionato nei trenta giorni successivi al termine per proporre ricorso):
In tal caso, con un pagamento parziale effettuato dopo il termine per ricorrere ma entro il trentesimo giorno successivo, l’esecuzione potrà essere portata avanti solo per la differenza tra il debito maturato ed il debito estinto e di conseguenza, anche gli ulteriori interessi di mora e l’aggio verranno addebitati in misura proporzionale al debito residuo.
c) Sanzione per omesso o insufficiente versamento:
In ambedue i casi di pagamento parziale tempestivo o tardivo è dovuta la sanzione del 30%, ma con la conseguente differenza che, ove l’adempimento parziale dovesse essere tempestivo, la sanzione sarà calcolata sulla differenza tra i debiti dovuti e quelli pagati, mentre ove l’adempimento parziale dovesse essere tardivo, la sanzione sarà irrogata su tutti i tributi dovuti.
Come già detto, una volta inoltrato il ricorso, l’accertamento diventa esecutivo solo per le imposte corrispondenti a un terzo dei maggiori imponibili accertati e per i relativi interessi, a patto che il contribuente non ne abbia fatto il pagamento entro il termine per ricorrere.
Può darsi però che il contribuente, nell’introdurre la lite o nel costituirsi in giudizio, sia incorso in una causa d’inammissibilità.
Le cause di inammissibilità sono enumerate agli articoli 17-bis, 18,21 e 22 del D. lgs n. 546/1992 e tra di esse ricordiamo le seguenti:
- mancanza della sottoscrizione su uno dei doppi originali da notificare all’ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate da depositare in segreteria;
- mancanza di qualche dato da indicare obbligatoriamente nel ricorso (giudice adito, domicilio del ricorrente, suo legale rappresentante, atto impugnato, oggetto della domanda, motivi del ricorso);
- tardività del ricorso;
- tardività della costituzione del ricorrente;
- difformità fra l’originale notificato e quello depositato in segreteria;
- alle suesposte cause di inammissibilità, l’articolo 39 del Dl. n. 98/2011 ha aggiunto, con decorrenza 01/04/2012, la mancata presentazione del reclamo (un vero e proprio ricorso amministrativo, preliminare all’impugnazione giudiziaria), obbligatorio quando il valore della lite non eccede Euro 20.000.
L’inammissibilità deve essere sempre dichiarata dal giudice e non può essere stabilita in modo unilaterale da una delle parti, in quanto, se così fosse, verrebbe minato il principio della “parità” delle parti del processo.
Finché non sopravviene la pronuncia d’inammissibilità, con la conseguente definitività dell’atto impugnato, l’accertamento diviene esecutivo solo per la parte riscuotibile in via provvisoria (articolo 15 del Dpr 602/1973).
Ciò nonostante, l’articolo 29 del Dl 78/2010, stabilisce che l’intimazione ad adempiere all’obbligo di pagamento degli importi stabiliti dall’articolo 15 del Dpr 602/1973 è subordinata alla “tempestiva” proposizione del ricorso.
Se il ricorso non è proposto tempestivamente, l’intimazione vale e l’accertamento diviene esecutivo per gli importi in esso indicati, senza tenere in alcun conto della riscossione frazionata.