Con il D.lgs. n.158/2015 in vigore dallo scorso 1° gennaio 2016 sono state ridefinite le regole che disciplinano, oltre all’ambito penale, il sistema sanzionatorio per le violazioni di natura amministrativo tributaria nell’ambito del meccanismo di reverse charge, introducendo una maggiore proporzionalità tra la misura della sanzione e la gravità della violazione.
In tale contesto assumono particolare rilevanza le previsioni contenute nell’articolo 15 del citato provvedimento, che vanno ad interessare le violazioni commesse nell’applicazione del particolare regime dell’inversione contabile.
Si ricorda che il meccanismo del reverse charge rappresenta una deroga al principio generale secondo il quale il debitore dell’IVA nei confronti dell’erario è il soggetto che effettua l’operazione, il quale, secondo le regole ordinarie, emette la fattura con l’applicazione dell’imposta esercitando il diritto di rivalsa; per le operazioni per le quali è prevista l’applicazione del reverse charge l’assolvimento dell’IVA invece è posto a carico dell’acquirente, ovvero lo stesso soggetto che ha diritto anche alla detrazione.
Il soggetto cedente o prestatore emette fattura senza addebitare l’imposta, applicando la norma che prevede l’utilizzo del regime del reverse charge (articolo 17 comma 6 del DPR n. 633/1972). Il destinatario integra la fattura ricevuta con l’indicazione dell’aliquota e dell’importo propri dell’operazione, registra il documento sia nel registro IVA delle fatture emesse sia nel registro IVA degli acquisti, rendendo neutrale l’effetto della imposta sull’acquisto.
In tema di sanzioni applicabili e di ravvedimento operoso, le disposizioni di riferimento sono contenute nell’articolo 6 del D.Lgs. 471/1997 ed in particolare nel comma 2 e nei commi 9-bis, 9-bis1, 9-bis2 e 9-bis3.
Il primo periodo della richiamata disposizione recita che “qualora, in presenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cessionario o il committente anzidetto non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro”.
Occorre considerare che la sanzione grava in capo al cessionario/committente ovvero a colui che ricevere la fattura con evidenza dell’IVA. Di tale sanzione il cedente/prestatore ne risponderà solo in via solidale, come espressamente previsto dal secondo periodo del comma 9-bis1 che recita “Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cedente o prestatore”.
Inoltre il cessionario/committente, qualora non abbia limitazioni di sorta (dovute, ad esempio, all’applicazione del pro rata), conserva il diritto di detrarre l’IVA sulla fattura erroneamente emessa e, inoltre, non è tenuto egli stesso ad assolvere l’imposta.
Il terzo periodo del comma 9-bis1 inoltre tratta dei casi di frode ai danni del fisco causati da comportamenti adottati dal cedente/prestatore e dal cessionario/committente.
In particolare lo stesso articolo afferma che “Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cessionario o il committente è punito con la sanzione di cui al comma 1 quando l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario anziché mediante l’inversione contabile è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole”.
Occorre in proposito evidenziare che la sanzione che va dal 90% al 180% dell’imposta non correttamente evidenziata in fattura, è imputabile al cessionario/committente unicamente nel caso in cui sia provato che lo stesso “era consapevole” dell’intento di evasione o di frode che ha generato l’errore.
Il secondo periodo del comma 9bis prevede la fattispecie in cui ancorché l’omissione del regime dell’inversione contabile non abbia alcun effetto sull’imposta (ipotesi di piena detraibilità), la sanzione si applica in misura proporzionale dal 5% al 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro, se l’operazione non risulta neppure dalla contabilità tenuta ai fini delle imposte sui redditi.
Il terzo periodo del comma 9bis dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 471/97 si occupa del caso di non applicazione del regime dell’inversione contabile in relazione ad una operazione per la quale l’imposta, se fosse stata applicata, sarebbe risultata indetraibile (totalmente o parzialmente) in capo al cessionario o committente, a causa di limitazioni oggettive o soggettive (pro-rata) del diritto di detrazione. In questo caso è prevista l’applicazione di una sanzione proporzionale che va dal 90% al 180% dell’imposta indetraibile, prevista per la dichiarazione infedele di cui all’articolo 5, comma 4, del D.Lgs. n. 471/97, oltre che della sanzione per indebita detrazione di cui al sesto comma dello stesso articolo 6, pari al 90% dell’imposta, e questo nonostante che nella fattispecie il contribuente non abbia operato alcuna detrazione, avendo omesso di applicare il meccanismo di inversione contabile.
L’ultimo periodo del comma 9bis dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 471/97 prevede che, in caso di operazione soggetta al regime dell’inversione contabile per la quale non sia ricevuta fattura o sia ricevuta fattura irregolare, si applicano le disposizioni dei precedenti periodi dello stesso comma 9bis e, pertanto le sanzioni ivi previste (in misura fissa o proporzionale), qualora “entro il trentesimo giorno successo” allo scadere del quarto mese dalla data di effettuazione dell’operazione (in ipotesi di mancato ricevimento della fattura) o, “avendo il fornitore emesso fattura irregolare“, entro i trenta giorni successivi, il cessionario o committente non informi l’Ufficio competente nei suoi confronti, provvedendo ad emettere l’autofattura o apposito documento integrativo, ed assolvere l’imposta entro lo stesso termine.
Inoltre, la mancata regolarizzazione nei termini di legge fa scattare la sanzione del 100% dell’imposta non regolarizzata, con il minimo di 250 euro.
Fabrizio Tortelotti