Qual è la disciplina degli impianti satellitari GPS montati sulle autovetture aziendali? L’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la Circolare del 7 novembre 2016, n. 2, ha fornito le proprie indicazioni operative sull’installazione ed utilizzazione di tali impianti.
Il provvedimento, da tempo atteso, consegue alle novità introdotte dall’art. 23 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151 (Jobs Act) per mezzo del quale si è riscritto e novellato, per l’appunto, l’art. 4 della L. 330/1970.
In particolare, l’Ispettorato del Lavoro, nel suo intervento, pone la propria attenzione sulla “vexata quaestio” se gli impianti siano da considerare strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e come tali esclusi dalle condizioni e dalle procedure previste dal medesimo art. 4.
Al fine di individuare i requisiti necessari ad una corretta installazione delle apparecchiature di localizzazione satellitare GPS, il Dicastero puntualizza come le stesse debbano essere strettamente funzionali a “…rendere la prestazione lavorativa…”, tenuto conto che l’interpretazione letterale del disposto normativo porta a considerare quali strumenti di lavoro quegli apparecchi, dispositivi, apparati e congegni che costituiscono il mezzo indispensabile al lavoratore per adempiere la prestazione lavorativa dedotta in contratto, e che per tale finalità siano stati posti in uso e messi a sua disposizione.
In linea di principio, l’Ispettorato ritiene che i sistemi di geolocalizzazione rappresentino, pertanto, un elemento “aggiunto” agli strumenti di lavoro, non utilizzati in via primaria ed essenziale per l’esecuzione dell’attività lavorativa ma, per rispondere ad esigenze ulteriori di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro.
Ne consegue che, in tali casi, la fattispecie, a detta dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, rientri nel campo di applicazione di cui al comma 1 dell’art. 4 Legge n. 300/1970 e pertanto le relative apparecchiature possono essere installate solo previo accordo stipulato con la rappresentanza sindacale ovvero, in assenza di tale accordo, previa autorizzazione da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro (art. 4, comma 1, della Legge n. 300/1970, come modificato dall’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 185/2016).
Solo in casi del tutto particolari – qualora i sistemi di localizzazione siano installati per consentire la concreta ed effettiva attuazione della prestazione lavorativa (e cioè la stessa non possa essere resa senza ricorrere all’uso di tali strumenti), ovvero l’installazione sia richiesta da specifiche normative di carattere legislativo o regolamentare (es. uso dei sistemi GPS per il trasporto di portavalori superiore a euro 1.500.000,00, ecc.) – si può ritenere che gli stessi finiscano per “trasformarsi” in veri e propri strumenti di lavoro e pertanto si possa prescindere, ai sensi di cui al comma 2 dell’art. 4 della Legge n. 300/1970, sia dall’intervento della contrattazione collettiva che dal procedimento amministrativo di carattere autorizzativo previsti dalla legge.
A sussidio della materia si segnala che, oltre ai già numerosi interventi, anche la Corte di Cassazione con sentenza del 26 ottobre 2016, n. 45198 è intervenuta in merito al configurarsi di reato nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, senza preventiva autorizzazione di sindacati o DTL, installi telecamere sul luogo della prestazione di lavoro del dipendente ancorché non le utilizzi. In tale sede la Suprema Corte ha altresì chiarito che se le apparecchiature video non dovessero risultare accese, si tratterebbe in ogni caso di reato di pericolo che si configura comunque anche nella sola ipotesi di lesione della privacy del dipendente.
Pertanto, alla luce della sentenza sopra richiamata, il mancato preventivo accordo sindacale o l’omessa richiesta di autorizzazione amministrativa può integrare la violazione di condotta criminosa, in quanto idonea a ledere la riservatezza dei dipendenti.
Francesco Geria – LaborTre Studio Associato