Abbiamo spesso parlato della situazione in cui nostri connazionali trasferitisi all’estero debbano provvedere a regolarizzare la loro residenza fiscale, pena la tassazione in Italia di tutti i loro redditi ovunque prodotti. Oggi non parleremo più dei cd. “flussi in uscita” bensì della novità prevista dal legislatore per attrarre nel nostro Paese contribuenti esteri con importanti disponibilità.
Con la legge di Bilancio 2017 (legge n. 232/2016) dai commi 152 a 159 è stato introdotto un nuovo regime fiscale a favore dei soggetti che stabiliscono il proprio domicilio in Italia; in particolare è stato aggiunto l’art. 24-bis Tuir, nel quale si prevede che nel rispetto di determinati requisiti, tali soggetti potranno beneficiare dell’applicazione di una imposta sostitutiva all’Irpef e alle addizionali locali. Obiettivo del Legislatore è quello di attrarre possibili nuovi investimenti in Italia per il tramite di persone fisiche che dispongano di importanti capitali e risorse finanziarie. Non significa che tale normativa sia rivolta solo a stranieri che si trasferiscano in Italia, in quanto è estesa “anche ai cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato di cui al decreto ministeriale 4 maggio 1999, che si presumono, salvo prova contraria, fiscalmente residenti in Italia ai sensi del successivo comma 2-bis dell’articolo 2 del TUIR.” (circolare n. 17/E/2017, paragrafo 1, parte III).
Quali sono i requisiti affinché le persone residenti all’estero possano rientrare in tale condizione?
L’art. 24-bis del Tuir afferma che i contribuenti:
- devono trasferire la propria residenza fiscale in Italia ai sensi dell’art. 2, comma 2, del D.P.R. n. 917/86 e
- non devono essere stati residenti (sempre ai sensi dell’art. 2, comma 2) nel territorio italiano per almeno nove periodi d’imposta nel corso dei 10 precedenti all’inizio del periodo di validità dell’opzione.
Il contribuente che intenda esercitare tale opzione potrà presentare apposito interpello (circolare n. 17/E/2017, paragrafo 3, parte III), entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui viene trasferita la residenza in Italia, presso l’Agenzia delle Entrate, nel quale andranno indicati tutti gli elementi probatori ai fini dell’applicazione di tale nuovo regime d’imposta. Se l’Agenzia darà risposta affermativa all’interpello, l’opzione varrà per i redditi prodotti in quell’anno d’imposta.
Questa è una possibilità e non un obbligo previsto dalla normativa, in quanto, come afferma la stessa circolare sopra ricordata, “Chi non intende presentare l’istanza, nel presupposto di rispettare tutte le condizioni richieste dall’articolo 24-bis del TUIR, può comunque esercitare la relativa opzione mediante indicazione nella dichiarazione dei redditi relativa al primo periodo d’imposta di validità del regime, avendo cura di conservare la documentazione che andrebbe allegata all’istanza di interpello. […] Coerentemente con la natura consultiva del parere reso dall’Agenzia delle Entrate, l’eventuale risposta negativa non pregiudica la fruizione del regime per il contribuente che, ritenendo integrati tutti i presupposti dell’articolo 24-bis del TUIR, decida di dimostrarne la ricorrenza in altra sede. In altri termini, la risposta all’interpello non è vincolante e non è neppure impugnabile.” Ad esempio, i soggetti che intendono accedere al nuovo regime a partire dal 2017, dovranno esercitare l’opzione nella dichiarazione dei redditi da presentare entro il 30 settembre 2018.
Se si vorrà applicare il regime opzionale anche ai familiari, l’interpello dovrà contenere anche i dati relativi ai familiari, e si dovrà presentare un’autonoma check list con la relativa documentazione per ogni familiare. Si precisa che, ai fini del calcolo a ritroso del periodo dei dieci anni precedenti, rileva, come momento iniziale, l’anno di estensione dell’opzione per il singolo familiare e non quello in cui è stata esercitata per la prima volta l’opzione da parte del beneficiario principale.
La tassazione dei redditi esteri dei “neo domiciliati” in Italia è effettuata mediante il pagamento di una imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali calcolata forfetariamente nella misura di 100.000 euro per ciascun periodo d’imposta in cui è valido il regime con una riduzione per ciascuno dei familiari di cui all’articolo 433 del codice civile (comma 2 dell’articolo 24-bis del DPR n. 917/86). Il versamento di tale imposta dovrà essere effettuato in unica soluzione per ciascun periodo d’imposta di efficacia del regime entro la data prevista per il saldo delle imposte sui redditi (30 giugno di ciascun anno – paragrafo 5.1, parte III, circ. n. 17/E/2017 ). Pertanto, il versamento di tale imposta esaurisce l’obbligazione tributaria italiana per tutti i redditi di fonte estera posseduti dai neo domiciliati che, di conseguenza, non dovranno subire alcuna imposta sostitutiva o ritenuta. Tali redditi prodotti all’estero, infatti, risulteranno essere esenti ai fini della tassazione Ivie ed Ivafe nonché agli obblighi di monitoraggio fiscale previsti dal quadro RW (paragrafo 5.2 della circolare n. 17/E/2017). Inoltre, le imposte di successione e donazione sono dovute dai beneficiari limitatamente ai beni e diritti situati nel territorio dello Stato (paragrafo 5.3).
Il regime forfettario, come visto, può essere esteso anche ad uno o più familiari in possesso dei requisiti, attraverso una specifica indicazione nella dichiarazione dei redditi riferita al periodo d’imposta in cui il familiare trasferisca la residenza fiscale in Italia oppure in quella successiva. In questo caso, l’imposta sostitutiva è pari a 25.000 euro per ciascuno dei familiari ai quali sono estesi gli effetti della stessa opzione.
Ma quali sono i redditi oggetto di tale regime di tassazione sostitutiva? Iniziamo con l’affermare che i redditi prodotti in Stati esteri che NON saranno oggetto dell’opzione continueranno a subire la ordinaria tassazione italiana con relativo scomputo del credito per le imposte pagate all’estero previsto dall’articolo 165 del D.P.R. n. 917/86, ossia seguiranno le ordinarie regole di tassazione; infatti il contribuente verrà considerato fiscalmente residente e pertanto rientrante nella previsione di cui all’art. 3 Tuir.
L’opzione NON riguarda i redditi di fonte italiana che rimangono assoggettati a tassazione secondo le ordinarie regole.
Tale imposta, inoltre, NON si applica alle plusvalenze da cessione di partecipazioni qualificate (articolo 67, comma 1, lett. c) del DPR n. 917/86) realizzate nei primi cinque periodi d’imposta di validità dell’opzione, che rimangono soggette al regime ordinario di imposizione (49,72% del reddito ad aliquote progressive, ai sensi dell’articolo 68, comma 3, del DPR n. 917/86).
Il comma 3 dell’articolo 24-bis del DPR n. 917/86 prevede che il soggetto che eserciterà l’opzione indicherà la giurisdizione o le giurisdizioni in cui i familiari a cui si estende il regime avevano l’ultima residenza prima dell’esercizio di validità dell’opzione, in modo tale che l’Agenzia delle Entrate trasmetta tali informazioni, attraverso gli idonei strumenti di cooperazione amministrativa, alle autorità fiscali delle giurisdizioni indicate come luogo di ultima residenza fiscale prima dell’esercizio di validità dell’opzione.
L’opzione si intende tacitamente rinnovata di anno in anno (paragrafo 6, circ. n. 17/E/2017); è possibile per il “neo residente” revocare ovvero cessare l’opzione effettuata; l’opzione terminerà comunque una volta decorsi quindici anni dal primo periodo d’imposta di validità dell’opzione. Potrà terminare in anticipo nel caso di omesso o parziale versamento dell’imposta sostitutiva; la revoca o la decadenza dal regime precludono l’esercizio di una nuova opzione.
Ma nel concreto cosa è richiesto a tali contribuenti? Ossia, perché lo Stato Italiano ha previsto una simile tassazione per i soggetti che trasferiscono la residenza in Italia? La risposta a tale domanda è presente nel comma 148 della Legge di Bilancio 2017, dove viene indicato che i neo-contribuenti dovranno in maniera alternativa:
- effettuare un investimento di almeno 2 milioni di euro in titoli emessi dal Governo italiano e dovranno essere mantenuti per almeno 2 anni;
- effettuare un investimento di almeno 1 milione di euro in strumenti rappresentativi del capitale di una società costituita e operante in Italia mantenendo tale investimento per almeno 2 anni ovvero di almeno 500.000 euro in una start-up innovativa;
- effettuare una donazione a carattere filantropico di almeno 1 milione di euro a sostegno di un progetto di pubblico interesse nei settori della cultura, istruzione, immigrazione, ricerca scientifica, recupero di beni culturali e paesaggistici.
Marco Beacco – Centro Studi CGN