In questo articolo approfondiamo il tema della sanzione disciplinare che rappresenta l’ultima fase del procedimento stesso. Proprio dal provvedimento che il datore di lavoro ha il potere di adottare potrebbero infatti scaturire effetti di varia natura sul rapporto di lavoro, che potrebbe addirittura risolversi.
Come già precedentemente accennato, le varie tipologie di sanzioni disciplinari adottabili possono essere raggruppate in due macro-aree: sanzioni conservative e sanzioni espulsive.
La prima tipologia raccoglie al suo interno:
- il rimprovero verbale;
- il rimprovero scritto;
- la multa;
- la sospensione dal servizio.
La seconda fa invece riferimento:
- al licenziamento con preavviso (per giustificato motivo soggettivo);
- al licenziamento senza preavviso (per gravi motivi disciplinari, ovvero per giusta causa).
In ogni caso, ad eccezione del solo richiamo verbale, prima di procedere all’irrogazione della sanzione è necessario che il datore di lavoro adotti la procedura di cui all’art. 7, L. n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), contestando l’addebito al proprio dipendente, al fine di individuare e circoscrivere la condotta illegittima e di, conseguenza, permettere al dipendente stesso di difendersi dalle accuse mosse a suo carico.
Soltanto dopo aver sentito quest’ultimo a sua difesa – e laddove lo ritenga opportuno – il datore potrà procedere.
A ciò fa tuttavia eccezione il caso in cui, stante la particolare gravità dei fatti addebitati, il datore decida di sospendere cautelativamente il lavoratore. Sospensione che, comunque, non costituisce mai una sanzione disciplinare, quanto piuttosto una cautela necessaria in alcune delicate ipotesi.
Oltre ai predetti requisiti procedurali, affinché la sanzione disciplinare non sia affetta da particolari vizi di sorta è necessario che la stessa risulti in linea con le disposizioni di legge e contrattuali in materia.
In particolare, è di fondamentale importanza che tra la violazione commessa e la sanzione irrogata sussista un nesso di gradualità, equità e proporzionalità, che lega la seconda alla gravità ed alla eventuale recidività della prima.
Proprio riguardo all’entità della sanzione, va evidenziato come il datore non sia libero di scegliere autonomamente quale “punizione” irrogare. Piuttosto è la contrattazione collettiva (e, a volte, il regolamento aziendale ad integrazione del codice disciplinare del CCNL) che, in base alla condotta tenuta dal dipendente, vi ricollega una determinata sanzione che, comunque, non può eccedere i limiti previsti dall’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori.
Il comma 4 della citata disposizione prevede infatti che la sanzione stessa non può in ogni caso comportare mutamenti definitivi del rapporto di lavoro.
Inoltre, nell’ipotesi in cui il datore decida di punire il dipendente con una multa, quest’ultima non potrà essere di importo superiore a 4 ore della retribuzione di base mentre, invece, laddove sanzioni il lavoratore con la sospensione dello stesso dal servizio e dalla retribuzione, questa non potrà essere disposta per più di 10 giorni.
Unitamente alla gravità dell’infrazione commessa, altro parametro da valutare nell’individuazione della sanzione applicabile riguarda l’eventuale recidiva della medesima condotta illegittima tenuta dal lavoratore.
Al riguardo, il comma 8 del summenzionato art. 7 dello Statuto prevede che non si possa tener conto delle sanzioni disciplinari inflitte al lavoratore dopo 2 anni dalla loro applicazione.
Oltre alla predetta condizione temporale, ai fini della recidiva non rilevano, inoltre, quelle infrazioni che, nonostante contestate, non abbiano dato luogo all’applicazione di alcuna sanzione, ovvero quelle sanzioni dichiarate nulle o impugnate dinanzi al Collegio arbitrale ed il cui esame sia ancora in corso al tempo della seconda sanzione.
Laddove comunque il datore intenda avvalersi dell’aggravante in discorso dovrà necessariamente specificarlo nella lettera di contestazione di addebito.
In conclusione, va evidenziato come, in seguito all’irrogazione della sanzione, il dipendente potrebbe impugnare la stessa.
A tal riguardo, l’art. 7, L. n. 300/1970 prevede una specifica procedura arbitrale che, se intrapresa, comporta la sospensione dell’applicazione della sanzione – ancorché tale ultimo aspetto non risulti sempre di agevole applicazione pratica (si pensi, ad esempio, alla “sospensione” di un richiamo scritto già consegnato al lavoratore). La procedura prevista dalla legge non inibisce tuttavia la previsione di eventuali soluzioni alternative dalla contrattazione collettiva, così come non impedisce al lavoratore di adire l’autorità giudiziaria.
Stefano Carotti – Centro Studi CGN